Sci di fondo
domenica 29 Gennaio, 2023
di Gilberto Bonani
Silenzio, parte la Marcialonga. Anche quest’anno la brulicante piana di Moena, animata da migliaia di concorrenti, volontari, addetti alla sicurezza e spettatori, si è fermata un istante in attesa del colpo di pistola che ha dato il via alla 50esima edizione della Granfondo di Fassa e Fiemme.
La prima schiera di atleti è scattata nel breve pianoro per affrontare la salita con lo sguardo puntato al campanile aguzzo della parrocchiale di Moena che segna la rotta da seguire. Poi sono arrivate le altre ondate a intervalli scanditi dal cronometro dell’organizzazione. Alla partenza risulta iscritti 7500 concorrenti tra cui nove senatori, ovvero i fondisti che hanno partecipato a tutte le edizioni. Fra questi c’è anche un novantenne, Luciano Bertocchi di Malborghetto (Udine).
Il serpente multicolore si infila nelle anguste vie del centro storico per poi uscire verso Soraga. Il tracciato affronta leggere salite, bisogna soffrire un po’ ma l’incoraggiamento continuo della folla assiepata nei paesi di Fassa aiuta il morale. A Canazei, con ampio giro, inizia la discesa sulla sinistra orografica della valle. La fatica comincia a farsi sentire e lo sguardo cerca la strettoia che segna il confine tra Fassa e Fiemme. Predazzo è il primo approdo dove è possibile concludere la gara, o meglio la versione più corta: solo 45 chilometri.
Ora si susseguono i pianori di Fiemme, non ci sono salite di rilievo ma è lunga, davvero lunga. Cavalese sembra un miraggio lassù in alto sulla destra dove svetta il campanile dell’Addolorata. I gesti sono meccanici, gambe e braccia si muovono come in un meccanismo che sta per terminare la carica. E qui uomini e donne devono affrontare l’ultima prova, il «Mur de la Stria» (il muro della strega) in ricordo della caccia alle streghe condotta all’inizio del Cinquecento nelle due valli. La salita tra la località Cascata e Cavalese è stata modificata: è più corta ma la pendenza arriva fino al 20 per cento. Solo gli atleti di testa riescono a spingere a sci uniti. Per tutti gli altri è un’ascesa a gambe larghe e fiato corto. Per vincere la gravità serve una arrampicata a «lisca di pesce». Ed ecco il traguardo. C’è chi lo attraversa dopo due ore e mezza (i super atleti), chi dopo quattro – cinque ore (atleti) e poi il popolo della Marcialonga che affronta la fatica per poter dire «c’ero anch’io».
Alfredo Weiss, presidente per 21 anni e nove nel ruolo di vice, è la memoria storica della Marcialonga. A lui chiediamo il segreto del successo della granfondo di Fiemme e Fassa. «La Marcialonga, rispetto alle altre granfondo ha una marcia in più» afferma senza tema di essere smentito. «Le grandi competizioni nordiche, da cui la Marcialonga ha copiato, si snodano in grandi spazi poco abitati. Gli atleti sono praticamente soli con la loro fatica. Qui invece, i paesi di Fassa e Fiemme costituiscono una successione continua di centri abitati e la popolazione si riversa lungo il tracciato manifestando un tifo formidabile. Questo calore esalta i nordici non abituati a una festa di popolo. La tecnica del passo alternato poi aiuta. Lascia spazio ai concorrenti per scambiare una battuta, un incoraggiamento. Il tutto non si svolge in un territorio piatto e monotono ma ricamato dalle cime delle Dolomiti». Un fattore ormai ricorrente e indispensabile nella Marcialonga è l’utilizzo di neve programmata. Inverni sempre più caldi e avari di precipitazioni chiedono interventi tecnologici e questo fa discutere. Per tre volte la Marcialonga non si è fatta. Oggi bisogna fare l’impossibile, il meccanismo dei grandi eventi non permette pause. O si va avanti o si muore, come lo sci alpino. «Anche quest’anno la Marcialonga ha avuto seri problemi di innevamento. Se non arrivava la ventata di freddo delle ultime settimane – spiega Weiss – probabilmente gli organizzatori sarebbero stati costretti a fermare la gara a Predazzo. Come per lo sci alpino anche la Marcialonga deve fare i conti con i cambiamenti climatici». Nonostante il lungo servizio profuso Alfredo Weiss si è prestato negli ultimi giorni a dare una mano all’organizzazione. Pura passione che non si spegne negli anni.