L'intervista
domenica 9 Febbraio, 2025
di Ilaria Bionda
È l’universo musicale di Ennio Morricone il filo rosso che unisce alcuni momenti culturali della prossima settimana trentina. Sono infatti tre gli eventi che pongono al centro la figura del noto compositore italiano scomparso nel 2020, tratteggiandone il lungo percorso di vita come maestro, ma anche come uomo e padre. La stagione del teatro Sociale porta in scena, da giovedì a domenica, «Notte Morricone» del visionario coreografo spagnolo Marcos Morau: movimenti evocativi e scenografie suggestive che riescono a far prendere vita alle celebri colonne sonore del maestro. Il tradizionale appuntamento con il foyer del teatro, previsto per venerdì 14 alle 17.30, sarà poi l’occasione per presentare il libro «Ennio Morricone. Il genio, l’uomo, il padre» (Sperling&Kupfer, 2024) scritto da Marco Morricone, figlio del maestro, presente all’evento, e Valerio Cappelli, giornalista e amico di lunga data. Infine, per l’occasione, in collaborazione con Cineworld, giovedì alle 17 verrà riproposto al Cinema Vittoria il documentario del 2021 «Ennio», diretto da Giuseppe Tornatore.
Marco Morricone, con «Notte Morricone» le celebri colonne sonore di suo padre saranno portate in scena attraverso la danza, cosa ne pensa?
«È un’assoluta novità e non mi immaginavo fosse così bello ed emozionante. Lo spettacolo di Morau traspone in danza il linguaggio che papà ha usato per tutta la vita. Perché in realtà, per papà, la musica non era una professione, bensì un linguaggio: per tantissimi anni ha trasmesso emozioni, trasgressioni e di tutto e di più attraverso la musica, ritenendola sì un’arte creativa, ma soprattutto una scienza. Ecco, papà è riuscito a combinare e a far convivere arte, scienza e matematica. E Marcos è riuscito a coniugare il dinamismo della danza con la bellezza della musica. Sapere che è riuscito a far convivere così vicine le due arti è una meraviglia».
È quindi riuscito a rendere l’universo musicale di suo padre a tutto tondo?
«Certamente. Marcos mi ha raccontato che gli è stato trasmesso dai genitori un amore sviscerato per la musica di papà. Nel suo lavoro è stato così sensibile e così, appunto, innamorato del linguaggio di papà che mi ha lasciato veramente esterrefatto: è uno spettacolo splendido. La scorsa estate ho assistito alle prove e devo dire che mi ha fatto impressione vedere quanto il dinamismo e la perfezione dei movimenti fossero così ben coniugati con la musica, era qualcosa di veramente straordinario».
Il libro che lei ha scritto insieme a Valerio Cappelli intitolato «Il genio, l’uomo, il padre» è invece un ritratto più intimo di Ennio Morricone?
«Bisogna sicuramente fare un distinguo fra la persona e il personaggio. Il personaggio è quello che ha conosciuto il mondo, attraverso i suoi scritti, il suo lavoro, i suoi concerti. La persona, invece, riguarda una situazione molto più intima, quindi con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, le sue contraddizioni, le sue incoerenze – intese in senso buono – le sue debolezze. Il libro racconta tutto questo. Dal momento in cui un bambino di cinque anni si affaccia dalla porta dello studio e vede suo papà che sta scrivendo non si sa cosa, fino ai giorni nostri. È un percorso lungo quasi settant’anni».
E questo ritratto più intimo è dato dal fatto che a scriverlo siete stati lei e Cappelli, due persone che conoscevano molto bene Ennio Morricone?
«Valerio aveva sedici anni quando ha conosciuto mio papà ed era uno dei pochi giornalisti con cui andava d’accordo, erano molto amici. Valerio ha accolto tante sue confessioni, così come tanti suoi aneddoti e racconti, pur mantenendo una sorta di riservatezza, propria di papà. Io, da figlio, sono stato ugualmente testimone di tanto. Abbiamo unito le conoscenze, le mie un pochino più intime, le sue altrettanto ma più sotto l’aspetto professionale che sotto l’aspetto umano, e abbiamo tirato fuori il libro. Per me, personalmente, è stata l’elaborazione del lutto. Cioè la figura del papà che scompare e che lascia un vuoto, perché qualsiasi attività il proprio padre abbia svolto, quando se ne va è la figura paterna che viene a mancare. E a me mio padre manca ancora».
Come riesce, invece, il documentario «Ennio» a raccontare suo padre?
«Nel documentario di Peppuccio (Tornatore, ndr), si vede papà che è un attore. Non un attore che recita, ma un attore che si racconta e che racconta il suo percorso di vita in tutta la sua durata. Da quando era piccolo, al periodo del Conservatorio, dal periodo degli studi, al periodo della guerra, al periodo in cui suonava la tromba con suo papà nei più grandi teatri romani».
Il documentario può, secondo lei, essere considerato un tributo da parte di chi ha stretto con lui un grande sodalizio artistico e lavorativo?
«Per me più che un tributo, il lavoro splendido di Peppuccio, è un testamento spirituale di papà, che ha avuto l’imprevista voglia di raccontarsi di fronte alla telecamera. Il percorso di girato, infatti, è durato sei anni, quando c’era tempo loro due si incontravano e giravano degli spezzoni».
Pensa che queste tre opere si completino tra loro?
«Sì e no. La musica ha una sua vita e papà è stato un rivoluzionario perché quando ha iniziato a scrivere, negli anni ’50, la musica nei film era di puro accompagnamento, mentre lui l’ha resa protagonista. Anche la danza ha una propria vita, che però è legata, soprattutto nel nostro caso, fortemente alla musica. Il libro, invece, non è un’arte, ma è un racconto in cui io e Valerio usiamo il nostro linguaggio per raccontare la persona, non il personaggio».
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