Lavoro
giovedì 1 Dicembre, 2022
di Simone Casciano
Marco Omizzolo è docente di sociopolitologia delle migrazioni all’università della Sapienza di Roma e sociologo Eurispes. Ma Omizzolo è molto di più, con le sue ricerche sul campo, infiltrandosi tra i lavoratori, è stato l’uomo che ha portato alla luce lo sfruttamento sistematico dei braccianti indiani nell’Agro Pontino. Un impegno per il quale gli è stata riconosciuta anche l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica da Sergio Mattarella. Proprio quelle indagini furono uno degli stimoli alla nascita della legge 199 del 2016 che punisce il caporalato. Molte delle storie incontrate in questi anni Omizzolo le ha raccolte nel suo nuovo libro: «Per motivi di giustizia». Il libro sarà lo spunto di un incontro, organizzato dall’associazione «Il gioco degli specchi» e finanziato anche dal Forum Trentino per la Pace e i diritti Umani , in programma questa sera alle 20.45 alla Bookique.
Omizzolo che cos’è «Per motivi di giustizia»?
«Per me è stata una necessità, sono 15 storie di uomini e di donne, italiani e immigrati, con cui negli ultimi anni ho avviato un percorso di studio e mobilitazione. Sono storie di successo perché raccontano di come dall’emarginazione e si può raggiungere la libertà. Mi piace definirlo una pietra d’inciampo. Un libro che fa sapere che esistono modi per sconfiggere lo sfruttamento e il razzismo».
Che cos’è invece il caporalato?
«È un fenomeno sistemico e organizzato. Parliamo di un settore che fattura ogni anno milioni di euro e deriva dalla professionalità di imprenditori, liberi professionisti, un pezzo di pubblica amministrazione e un pezzo della politica che su questo fa le sue fortune. È trasversale non solo all’Italia ma a tutta Europa. Non si limita solo all’agricoltura, ma è presente anche nella gig-economy, nei cantieri e nella logistica. Quello che è fondamentale capire è che al suo interno si trovano contemporaneamente imprenditori apparentemente di buon nome, che poi le inchieste hanno dimostrata sfruttavano i loro lavoratori, e poi anche membri della criminalità organizzata. È una particolarità unica di questo settore quella di avere volti pubblici che impiegano le stesse strategie delle organizzazioni mafiose».
Leggendo i nomi che compongono i capitoli del libro salta agli occhi che non si tratta solo di migranti?
«Assolutamente, il caporalato colpisce sia italiani che immigrati, sia uomini che donne. nel libro racconto anche la storia di Paola Clemente morta di fatica nel 2015 mentre lavorava nei campi della Puglia per 2 euro l’ora».
Il problema diceva prima è esteso a tutta Italia, anche in Trentino?
«Assolutamente sì, ce lo dimostrano studi e attività investigativa. Nel nord est il fenomeno più preoccupante è quello delle cooperative senza terra.
Cosa sono?
«Si tratta di cooperative dell’est Europa che prendono in appalto dagli agricoltori, sulla base di una cifra fissa pattuita, il lavoro di raccolta di frutta e verdura. Arrivano sul posto e in pochi giorni fanno un lavoro intensissimo e sfiancante, ai lavoratori vengono applicati contratti dei loro paesi di origine. Allo sfruttamento si aggiunge il danno arrecato ai braccianti autoctoni italiani e migranti stanziali del territorio che perdono il lavoro in favore di questo nuovo caporalato. Si tratta anche di un fenomeno difficile da intercettare sia da un punto di vista ispettivo che sindacale perché queste persone rimangono sul territorio per un breve periodo prima di andare via».
Cosa rende le vittime tali?
«La combinazione di molti fattori. Per i migranti sicuramente le politiche di gestione dei flussi, di accesso alla richiesta di asilo o le difficoltà nell’ottenere i documenti. Trattare i clandestini come un fastidio da allontanare li rende dipendenti solo dalle loro braccia e quindi suscettibili di sfruttamento. Per gli italiani anche le modifiche attuate negli anni al mercato del lavoro hanno reso più facile lo sfruttamento. Anche le tante falle del nostro welfare che non intercetta in tempo situazioni di fragilità favorisce il ricatto lavorativo. C’è poi la condizione ancora più drammatica delle donne che spesso, in molti casi di caporalato, oltre allo sfruttamento lavorativo subiscono anche di peggio, vengono viste da padroni e caporali come prede con cui soddisfare le proprie pulsioni sessuali».
Finora ci ha descritto i fattori che rendono un terreno fertile, poi però qualcuno deve decidere di piantare i semi del caporalato
«E questo è in capo a pochi soggetti. Il primo è il padrone che decide di mettere in atto un sistema di sfruttamento. C’è una volontà specifica che significa sfruttare, ingannare il mercato, violare le leggi e sempre più spesso anche inquinare l’ambiente. Attenzione però non si tratta più solo di un’attività brutale, il caporalato si è fatto sofisticato».
Cosa intende?
«Ricordiamoci che parliamo di aziende che fatturano anche decine di milioni di euro, floride, spesso affidate a manager che sanno quello che succede. Faccio un esempio: è sempre più comune il sistema dei salari yo-yo. Significa che lavoratori regolarmente assunti ogni settimana vengono costretti a fare prelievi di 200 euro dai bancomat e restituirli al padrone o al caporale. Un metodo con cui si riesce a eludere qualunque attività ispettiva».
Ecco a proposito di ispezioni se ne fanno abbastanza?
«Se ne potrebbero fare di più, ma la verità è che l’impegno c’è e ultimamente le attività di indagine si sono fatti multidisciplinari, affiancando anche mediatori culturali, e si sono estese a vari settori dell’economia. Il problema vero è che servirebbero riforme serie del mercato del lavoro e culturali, ma non credo che al momento ci sia la volontà politica».
Perché?
«Perché proposte come quella di aumentare il tetto del contante voluta dal governo non hanno un effetto solo sull’evasione, ma anche sul caporalato. Con uno studio abbiamo stimato che il rischio per uomini e donne di diventare vittime di sfruttamento salirà del 10/15% con un danno sia per loro che per lo stato».
Tornano anche i voucher
«È una proposta non inaspettata dal governo Meloni che renderà più facile lo sfruttamento anche per i giovani italiani poco istruiti che avranno come unica possibilità quella di stare alla mercé di padroni e caporali. Il voucher rende il lavoro prêt-à-porter divenendo espressione della precarietà imposta politica e non dal mercato come ancora si ritiene. È anche un incentivo al radicamento e diffusione del sistema Mafioso per rendere meno protetti i lavoratori e più poveri, incentivando la prepotenza padronale di clan. Peraltro, è una proposta nazionale e dunque gli effetti sinteticamente descritti riguarderanno tutto il Paese, Trentino compreso. Rischiamo di accrescere i problemi di precarietà, impoverimento e vulnerabilità dei cittadini, soprattutto giovani, e non di superarlo come invece dovrebbe fare un Paese e un governo civile. Vorrei chiudere sottolineando che serve che cambiamo anche modo di parlare del fenomeno».
Cioè?
«Quando parliamo di caporalato ci riferiamo a un soggetto terzo che, su mandato di un imprenditore, recluta lavoratori per lavorare nell’azienda. Ecco secondo me è tempo di parlare di padronato, cioè di quei padroni che danno il via all’azione di sfruttamento».
Magari non sanno quello che succede nella loro azienda
«Nella mia esperienza da infiltrato tra i braccianti dell’Agro Pontino posso assicurare che in un’azienda non si entra senza l’assenso del padrone. Le file dei lavoratori venivano controllate all’ingresso nelle serre. Anche la legge 199 del 2016 prevede la responsabilità del titolare perché è sua l’attività d’impresa. Se continuiamo a parlare solo di caporalato da un punto di vista sociale e culturale assolviamo il padrone, spesso italiano, che ha tutti gli interessi a celare i proventi illegittimi della sua attività».
Anche la grande distribuzione e i grandi mercati hanno delle responsabilità?
«Certo, enormi. Non si può fare finta di non sapere nulla quando i prodotti arrivano sugli scaffali a determinati prezzi. Quello che non paga il consumatore ha un costo nella filiera e spesso si chiama sfruttamento. Abbiamo fatto la legge contro la doppia asta al ribasso ma questo non basta».
Ecco Omizzolo abbiamo fatto la legge contro il caporalato, quella contro le aste, ma perché non basta?
«Perché il padronato ha un cervello sociale. Muta e si adatta alle novità normative e delle attività investigative. Non possiamo farci ingannare dall’abbaglio normativo e pensare che basti una legge per risolvere tutto. C’è bisogno di un cambio di passo culturale. Dobbiamo isolare gli sfruttatori, togliere l’acqua al piranha del caporalato, prima che divori tutto».