la storia
lunedì 29 Aprile, 2024
di Anna Maria Eccli
Sa tutto di Barbara e Gudrun, i primi due obici da 38 cm della Škoda impiegati dagli austroungarici nel 1916 (il primo piazzato vicino a Luserna, il secondo a nord di Volano: ebbero successo tale da indurre l’Alto Comando austriaco ad acquistarne altri 8), anche lui al comando di un’armata, ma pacifica: migliaia di libri della biblioteca appartenuta al nonno e al padre. Marco Paniz è uomo di cultura e di pace (binomio difficile da scollegare), affabile, di educazione squisita. Di famiglia per metà feltrina e per l’altra metà germanica, è nato in Westfalia il 9 aprile 1962. Corniciaio di professione e storico per passione; consulta archivi austriaci, riporta alla luce nomi, vite, talenti di uomini asfaltati da spietata idiozia umana, la stessa che oggi continua a organizzare eserciti. Il suo essere bilingue gli permette scavi privilegiati e la lettura diretta di documenti di prima mano. Ha scandagliato milioni di dati e pubblicato ricerche sulla piattaforma gratuita “Academia.edu” e nella sua pagina Facebook “Storie & Vite del 900”. Penetrando tra i risvolti della cecità che trasforma la Storia in mattatoio, rende anche grazia ad artisti come Hans Bertle; Standschützen, fuciliere operante sul Tonale e pittore di guerra di grande forza, che ha eternato la luce accecante dei ghiacci e degli algidi cieli che si impressero per ultimi negli occhi dei moribondi. Oceaniche le documentazioni di Paniz: più di 10 mila libri, foto, biografie sconosciute, manuali di artiglieria, rilievi aerei sul Trentino Alto Adige, mappe Alleate della Linea Gotica e dei luoghi dove furono lanciate le terribili bombe a farfalla. «In un angolo della biblioteca ho trovato più di 1300 mappe, per la maggior parte dell’esercito tedesco raccolte da nonno Mario, arrotolate una sull’altra», racconta; ne ha donate 300 al Museo della Guerra e 200 al Laboratorio di Storia di Rovereto. Stare sulla montagna delle miserie umane ha fatto di lui un ricercatore di armonia; da 13 anni è presidente dell’Associazione “Danzare la Pace” (che quest’anno festeggia i 30 anni di attività) in cui insegna danze folk e popolari. Per GMT (Gruppo Modellistico Trentino) e con gli storici Enrico Finazzer e Filippo Cappellano ha appena pubblicato “I grossi calibri Skoda”, testo con quasi 200 foto mai viste e storie mai tradotte scovate negli archivi austriaci e tedeschi.
Signor Paniz, il suo è un cognome veneto.
I genitori di mio papà Enrico, erano originari di Feltre, mamma, Gertrud Heisters, era di Krefeld, in Westfalia, dove sono nato. In Germania sono rimasto fino ai 4 anni.
Enrico Paniz, calzolaio a Sacco, negli Anni ’50 correva in bici con Aldo Moser.
Sì, nel ’68, tornato dalla Germania dove era emigrato nel ‘56, aveva aperto una calzoleria nella stretta di Corso Bettini, seguirono 10 anni di lavoro notturno alla Pirelli, poi di nuovo calzolaio a Sacco, in Via Bronzetti e in Via Libertà. Era appassionato di ciclismo, aveva corso con la maglia della Faema e della Olimpya. Nel 1980 ha promosso la ricostituzione del Veloce Club Rovereto, Società Ciclistica di fine ‘800, scioltasi con la Grande Guerra. Una passione per le due ruote, la sua, passata anche a me, come Direttore Sportivo, e ai miei fratelli Mario e Paolo, diventato anche campione provinciale juniores di ciclocross.
Calzolaio papà, corniciaio lei… buona manualità, in famiglia.
Sono corniciaio da 44 anni, ne avevo 18 quando ho iniziato. È un lavoro che mi piace perché è creativo, richiede di prefigurare soluzioni nuove; i clienti portano quadri, foto, stampe, ma anche oggetti; possono portare qualsiasi cosa e ogni volta sei chiamato a fare una piccola invenzione, come la mia cornice con scompartimento segreto per custodire documenti o altro. Ha avuto successo, me la richiedono da mezza Italia, ma il segreto è di Pulcinella, visto che ne parlo in Youtube.
Gli oggetti più strani che ha messo sotto vetro?
Magliette, monete, banconote, ricami, bandiere, orologi, quadri double face con la laurea davanti e il volume della tesi sul retro… persino un cappello d’alpino e la cavezza di una cavalla da corsa. Dietro a questi lavori ci sono tante storie, la cavezza, ad esempio, era di una cavalla venuta a mancare all’improvviso, un oggetto sentimentalmente importante. Il mio è lavoro di emozioni. Ora l’azienda è a conduzione familiare, mio figlio Giacomo ha deciso di proseguire con me. Mia figlia Gemma, invece, ha scelto infermieristica e si è laureata con 110 e lode.
Le sue passioni?
Sicuramente il lavoro; deve coincidere sempre con la passione. Poi ne ho altre due, entrambe forti. La prima: per la danza popolare, non finalizzata allo spettacolo, ma alla socialità. Tutto è iniziato con un corso, nel 1989, di danze olistiche della Comunità di Findhorn, centrata sull’armonia, l’arte, il rispetto della natura e l’unità dei popoli. Al corso ho conosciuto Vincenzo Barba, che nel 1994 ha fondato l’Associazione “Danzare la Pace” assieme a me. In quegli anni con l’Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), la nostra Associazione faceva ballare assieme israeliani e palestinesi. Piange il cuore vedere quello che sta accadendo ora.
Della seconda passione, per la Storia, parla la sua pagina Facebook.
Galeotta la biblioteca ereditata da papà…era di nonno Mario e oggi conterrà 10 mila libri perché molti li abbiamo regalati. Il nonno ha avuto una vita molto avventurosa, ha fatto di tutto: a 18 anni Volontario nella Legione Allievi della Regia Guardia di Finanza, poi va a Roma in bicicletta e lavora alla bonifica delle paludi Pontine, alla fine degli Anni ’30 va in Cirenaica, ingolosito dalla propaganda che parlava di terre fertili. In verità di giorno faticava come un pazzo per procurarsi l’acqua dal pozzo e alla sera arrivava il Ghibli a seminare sabbia ovunque. Così si mise a vendere gelati, scoprendo di doverseli anche mangiare visto che, al di là di qualche ufficiale italiano, di clienti non ne arrivavano. Dal ‘34 al ‘38 fece l’istruttore ortolano all’istituto Cesare Beccaria di Milano che rieducava ragazzi difficili insegnando loro un lavoro come muratore, sarto, calzolaio e contadino. Nella Seconda Guerra Mondiale fu inviato a combattere in Albania per due anni. Fortuna volle che l’8 settembre si salvasse dalla deportazione perché in ospedale operato di ernia. Dagli anni ‘50 in poi fu invece guardia giurata presso la Polveriera di Marco di Rovereto.
Come fece a metter insieme una libreria così imponente?
Aveva l’abitudine di comprare libri usati sulle bancarelle di Milano che poi restaurava; per un collezionista non valgono, ma per noi sì.
E lei, con quale metodo analizza centinaia di migliaia di documenti storici?
Da dilettante quale sono, ma che può accedere facilmente a fonti nuove, procedo partendo dalle vicende storiche che ci riguardano da vicino; noi siamo circondati dalla storia, praticamente eravamo sul fronte. Dalla traduzione di diari, resoconti delle Brigate e delle Compagnie austriache, vengono incontro notizie che non immagini, sull’infermeria e il magazzino di alimenti che nel ’16 erano attivi in Santa Maria, per esempio, o sul deposito d’armi e munizioni di Sant’Ilario. Una miniera di informazioni è il sito della Repubblica Ceca, Kramerius Army, tradotto anche in tedesco.
Della Seconda guerra non si è mai interessato?
Solo di missioni aeronautiche alleate sulla Vallagarina. Ho conosciuto e intervistato Mariano Dalbosco, testimone oculare dello schianto del bombardiere americano in Albaredo, nel febbraio 1945, come del rastrellamento all’alba del 22 luglio 1944.
Infine, come concludere l’intervista a un uomo di pace esperto di guerra?
Dicendo che bisogna conoscere la crudeltà per evitarla.
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