Il personaggio

giovedì 8 Febbraio, 2024

Marco Travaglio arriva a Trento: «Berlusconi, anni di vergogna. I cialtroni oggi durano poco, i cittadini hanno anticorpi»

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Il giornalista a teatro ripercorre la storia del Paese. «Ho scelto il linguaggio della satira. Tratto tutti allo stesso modo, ma non sono tutti uguali. Chi ha cambiato le cose? Conte»

Auditorium Santa Chiara già esaurito per lo spettacolo di Marco Travaglio «I migliori danni della nostra vita», in scena domenica prossima 11 febbraio alle 21. Un format tra satira e giornalismo «inventato» dallo stesso direttore del Fatto Quotidiano e che funziona da anni.
«È un recital giornalistico in cui racconto le vicende politiche degli ultimi anni e in cui cerco di spiegarle con la mia chiave di lettura – afferma – uso il linguaggio della satira perché non puoi tenere inchiodato il pubblico per oltre due ore rifilandogli toni “predicaroli”: le cose raccontate con linguaggio satirico rimangono anche più impresse, oltre a far sorridere e quindi a far passare anche una serata in allegria».
Con quello che combinano, i politici sono anche facilmente oggetto di satira.
«Certo, fanno tutto da soli».
Tra i peggiori ministri cita Nordio, Sangiuliano e Santanchè. C’è qualcuno che si salva?
«Tratto tutti in maniera imparziale. Ma non dico che i politici sono tutti uguali, perché non lo sono affatto. Racconto due governi che secondo me hanno cercato di cambiare le cose e sono riusciti a farlo, il Conte 1 e il Conte 2. Ma anche il governo Prodi 1, che cito all’inizio dello spettacolo, quello del ’96-’98 e che poi fu buttato giù da quel genio di Bertinotti, che non aveva capito che gli americani volevano buttare giù Prodi perché c’era da andare a bombardare la Serbia. Io divido i governi tra quelli che obbediscono ai poteri marci, nazionali e internazionali, e quelli che non obbediscono, che vengono buttati giù in maniera incomprensibile. E poi la gente passa gli anni successivi a dire: ma perché è caduto il governo Prodi? Berlusconi ha poi campato altri venticinque anni su quella catastrofe. E allo stesso modo: perché è caduto Conte ed è tornata la destra, prima quella tecnocratica con Draghi poi la destra politica della Meloni e di Salvini? Sono caduti perché non obbedivano, punto. Perché non avevano il pilota automatico invisibile, che accomuna i governi che invece piacciono ai media e alla gente che piace. E che possono restare al governo senza avere mai vinto un’elezione».
Come ha visto cambiare il pubblico in questi anni? È un pubblico sempre più rassegnato o ancora capace di indignarsi?
«È voglioso di ridere amaro, di riflettere e di incazzarsi. Credo che l’opinione pubblica abbia più anticorpi rispetto a trent’anni fa. Allora sono serviti vent’anni per capire che Berlusconi faceva solo i suoi interessi, mai i nostri. Tant’è che cadde perché incominciò a serpeggiare la versione pop della gag di Celentano e Benigni, quando scrivono la lettera in cui devono trovare una sola cosa che Berlusconi ha fatto per noi e non viene loro in mente niente. Oggi i cialtroni della politica vengono sgamati molto prima: Renzi dopo tre anni era già politicamente morto, Salvini idem dopo due».
Per questo negli ultimi anni assistiamo a continui ribaltamenti elettorali? Oggi i leader durano pochissimo.
«Durano pochissimo i cialtroni. E il comune denominatore del voto dei cittadini è comunque il tentativo di cambiamento, se vogliamo anche disperato. Dall’arrivo di Grillo in poi, si cerca sempre di votare quello che sembra più nuovo: anche Renzi si propose così, era addirittura il rottamatore. Ma se si vede il programma con cui vinse le primarie del Pd e diventò premier, era copiato da Grillo di sana pianta: anti casta, anti establishment, voleva abolire la prescrizione, cancellare il Tav Torino-Lione. Poi è diventato il restauratore dei poteri forti e lo hanno sgamato. Gli unici leader che sopravvivono all’usura del tempo sono quelli che le cose le hanno cambiate davvero. Come Prodi, che viene ancora interpellato. E l’altro è Conte, perché ci si ricorda che quando non sapevamo come uscire dalla pandemia lui faceva quello si doveva fare.»
Rimpiange mai gli anni di Berlusconi?
«No. Come italiano non ho mai provato tanta vergogna, anche parlando con italiani all’estero, quando l’equazione era automatica: italiano uguale berlusconiano».
Però Berlusconi forniva materiale di continuo.
«Ah, certo. Se devo rispondere come spettatore di uno spettacolo di un circo equestre, o di un giardino zoologico, le pagliacciate a cui abbiamo assistito non torneranno più. Oltre a essere un grande criminale, Berlusconi era anche un grande del cabaret: la famosa puntata di Santoro sui rapporti con la mafia, le corruzioni, i falsi in bilancio, le mignotte, gli scandali, le ottanta leggi ad personam… e lui che risponde spolverando la mia sedia».
Si è mai sbagliato su qualche politico?
«Sì: su Renzi. Ero convinto che volesse veramente cambiare qualcosa, invece voleva semplicemente sistemarsi al posto di chi c’era prima. E per fare peggio. Conoscendola personalmente, credevo che anche la Meloni sarebbe riuscita a mettere in piedi qualcosa di un po’ più serio. Pensavo che l’avrebbe aiutata il lascito legalitario e sociale della destra post fascista da cui proviene, una destra non troppo appiattita sugli americani e più aperta verso l’Oriente e il Mediterraneo. Pensavo a una maggiore attenzione verso la povera gente, che la sinistra istituzionale ha perso completamente, e che il culto dell’antimafia e dell’anticorruzione le avrebbe consentito di farci uscire dall’incubo per cui la destra in Italia è Berlusconi. Invece assistiamo a un replay del berlusconismo, con un personale politico ancora più mediocre. Marx diceva che la storia si ripete e passa da tragedia a farsa: ecco, il berlusconismo già era una tragedia farsesca, questa è una farsa della tragedia farsesca berlusconiana».