L'intervista
venerdì 3 Novembre, 2023
di Gabriele Stanga
«Il punk esiste sulla base della falsa idea che i Ramones possano essere imitati»: così recitava un vecchio articolo della rivista musicale «Spin». «One, two, three, four, let’s Go!». Quattro quarti, ritmica dritta e veloce, chitarre distorte ma senza orpelli o virtuosismi. In effetti, era una formula così intuitiva che sembrava potesse replicarla chiunque. Eppure nessuno ci è mai davvero riuscito. Sono le cose semplici a rendere immortali. Purtroppo, però, all’immortalità della musica non segue quella dei corpi. Oggi dei «Fast Four» ne è rimasto solo uno. È il batterista storico Marc Steven Bell, noto a tutti come Marky Ramone. Marky entrò nella band nel 1978, sostituendo il primo percussionista, Tommy, e vi rimase fino allo scioglimento nel 1996. Successivamente ha creato i Marky Ramone’s Blitzkrieg, i quali ripropongono, accanto a nuova musica originale, i brani storici dei Ramones. I Blitzkrieg suoneranno a Trento venerdì 17 novembre, presso l’Assicura Arena Fly Music, in località Acquaviva di Besenello. Un evento imperdibile, organizzato da Giustamentelive Gius e Promoevent con la partecipazione Revoltà Cafè, Enterprise, Forst e Casar Eventi. Per l’occasione, Marky Ramone stesso si è concesso a un’intervista, ripercorrendo la propria incredibile storia musicale.
Signor Ramone, com’è successo che una delle più grandi rockstar della storia abbia deciso di venire in concerto a Trento? Non si tratta di un’allucinazione collettiva?
«No (ride). È partito tutto dal mio amico Paolo, che conosco ormai da quarant’anni. Faceva parte del fan club dei Ramones fin dal 1980. Ci siamo conosciuti nel 1987, rimaneva dopo i concerti e usciva con noi, si è creata una bellissima amicizia e avevo il forte desiderio di esibirmi qui non avendolo mai fatto. Trento è una bella città, amo l’Italia e al momento sono in Toscana, dove resterò per un po’, un’altra terra bellissima».
Che tipo di progetto sono i Blitzkrieg, avete in serbo nuove canzoni e nuovi album?
«Di recente abbiamo registrato “New York New York”, anche se abbiamo deciso di non pubblicarla e tenerla in attesa per il cinquantesimo anniversario del punk. Abbiamo anche tre canzoni nuove, che vogliamo raccogliere in un Ep. Ai nostri concerti ci sono molti giovani che chiedono un vinile e lo stiamo realizzando. Poi c’è tanto altro materiale che potrebbe rientrare in un album nel giro di un anno e mezzo o due».
Passando ai Ramones, quando entrò nella band nel 1978, avevate la percezione di stare creando qualcosa di leggendario?
«Non ci abbiamo mai pensato. Suonavamo e basta, il momento in cui ti fermi e pensi di stare facendo la storia o di essere una star è quello in cui perdi di vista le cose importanti. C’erano tante band che iniziarono a imitarci e una grande ondata di apprezzamento per noi, che culminò anni dopo nell’ingresso nella Rock n’ Roll Hall of Fame, ma non abbiamo mai pensato a queste cose. Per noi la cosa più importante era scrivere, registrare e suonare».
Una delle cose per cui eravate più famosi era il muro di suono che riuscivate a creare sia dal vivo che in studio. Per ottenere un suono del genere tra voi doveva esserci una fortissima alchimia. Si può dire che foste una famiglia, nonostante le molte controversie riportate dai media?
«È proprio così, eravamo fratelli, si andava ben oltre l’amicizia. Passavamo più tempo tra di noi che con i nostri veri familiari. Si litigava e ci si riappacificava come in tutte le famiglie. Per quanto riguarda il sound, tutti amavamo lo stesso tipo di musica e volevamo suonare esattamente quello. Penso che la compattezza dipendesse più da questo. Quando la gente sentiva le nostre canzoni, o le amava o le odiava, non c’erano vie di mezzo».
Ha dichiarato spesso che Dee Dee (il bassista della band) era il suo migliore amico all’interno del gruppo. Che impatto ebbe la sua scelta di uscire dalla band? Fu una cosa che si aspettava?
«Quando Dee Dee smise di dare un apporto alla band, capii che eravamo arrivati alla fine del nostro percorso. Non era solo il bassista ed un amico, ma scriveva anche gran parte delle canzoni, anche quando non era più ufficialmente un membro dei Ramones. Quando lasciò definitivamente fu un momento critico».
Quale fu il momento più iconico per lei?
«Ci sono stati tanti momenti iconici, dalle registrazioni di “I wanna be sedated” a “Rock n’ Roll High School” o “Pet Sematary” per Stephen King e anche l’ingresso nella Rock n’ Roll Hall of Fame come rappresentanti del punk. Quello fu il riconoscimento che si era creato qualcosa di importante. Ho fatto più di 1700 concerti con i Ramones, sono tutti momenti impressi nella mia mente».
È vero il famoso episodio che si racconta riguardo al riff di «Rock n’ Roll High School»? Ossia che Phil Spector fece risuonare a Johnny lo stesso accordo una cinquantina di volte. A lei è mai capitato niente del genere?
«Io di solito registravo le canzoni in due take, sapevo come farle e non mi davano problemi. Andavo parecchio d’accordo con Phil, siamo diventati amici e uscivamo insieme. Da Johnny voleva l’accordo perfetto, faceva il lavoro che un produttore dovrebbe fare».
Cosa pensa delle altre band che facevano parte della scena punk dell’epoca?
«Tutte quelle band amavano i Ramones, anche Joe Strummer dei Clash lo disse. Per quanto riguarda i Sex Pistols, credo che la vera star fosse Sid Vicious. La sua “My way” è stata meglio di qualsiasi altra cosa abbiano fatto i Sex Pistols. In generale credo che la scena americana al CBG’S avesse canzoni migliori di quelle inglesi. Loro avevano più riferimenti politici e si vantavano di questo, ma ciò non li portò da nessuna parte».
A proposito di politica, è vero ciò che si dice su Johnny e l’estrema destra?
«Aveva posizioni chiaramente riconducibili a quell’area, ma ciò non influì mai sulle dinamiche interne alla band. Eravamo tutti diversi, io e Joey avevamo idee più simili l’uno all’altro e diverse da quelle di Johnny».
Cosa pensa del pop punk e di artisti come Green Day e Blink 182?
«Hanno avuto ottimi maestri. Sui Green Day l’influenza è evidente e sono un’ottima band. Dei Blink non conosco quasi nulla, la scena americana in quel caso è arrivata un anno e mezzo dopo ed è rimasta un po’ indietro, nonostante avesse buone canzoni».
Quale fu, prima dei Ramones, l’incontro più incredibile della sua vita?
«Quando ero un ragazzino, un amico mi accompagnò all’Ed Sullivan Show ed ebbi l’occasione di uscire con Jimi Hendrix e Jim Morrison. Il giorno dopo dovevo andare a scuola (ride). Lo dissi solo agli amici più stretti e non mi credevano ma io sapevo che era reale».
La sua band preferita?
«I Beatles, i migliori della storia».
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