L'intervista

sabato 1 Luglio, 2023

Marmolada, il racconto del medico sul primo elicottero intervenuto. «Silenzio spettrale e vittime nel ghiaccio»

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Vittorio Albarello è stato tra i primi ad arrivare sul posto. Nell'anniversario della tragedia ricorda quei momenti

Aveva già avuto una mattinata alquanto impegnativa quella dannata domenica del 3 luglio di un anno fa il dottor Vittorio Albarello, dirigente medico dell’Unità operativa Trentino emergenza 118. In volo per più interventi, era stato verricellato in luoghi impervi per soccorrere un ragazzo che si era schiantato su un canalone dopo il volo con la tuta alare, ma anche un alpinista e poi un escursionista in ferrata sul Brenta. Eppure il medico anestesia rianimatore, per 25 anni in servizio nella sanità romagnola, da 5 in quella trentina, abituato ad operare nelle situazioni emergenziali più critiche, non sapeva che lo attendeva la più grande tragedia moderna di queste montagne. È stato il primo medico ad intervenire, con l’elicottero e il team di Trentino Emergenza, dopo che si è staccato un voluminoso pezzo di calotta dalla parte più alta del ghiacciaio della Marmolada. E 64 mila tonnellate di materiale sono ruzzolate a valle sotto forma di colata di acqua, ghiaccio e roccia. Inghiottendo tutti e tutto. Mietendo undici vittime.

Esperienza indimenticabile?
«Incredibile. Terribile. È stato un fatto eccezionale, senza precedenti. Non mi era mai capitato un evento di una portata naturalistica tale».

Le ha lasciato il segno?
«Mi ha scosso: un anno prima quasi esatto ero lì, con mio figlio e un amico. Inevitabile pensare che avrebbe potuto accadere anche a me».

E dal punto di vista operativo?
«Una maxi emergenza che ci ha anche insegnato qualcosa, nell’ottica di migliorare ulteriormente il coordinamento tra noi soccorritori. A maggio è stata anche oggetto di un convegno a Bologna, nell’ambito di “Trauma Update 2023”, con una relazione a cui ho contribuito personalmente».

Com’è andata quel giorno?
«Ci stavamo alzando in volo dall’aeroporto di Mattarello per soccorrere un’escursionista alle Torri del Vajolet quando è arrivata la chiamata che segnalava la valanga in Marmolada. Il tempo, per il tecnico, di recuperare lo zaino con l’attrezzatura da valanga e siamo ripartiti».

Si ricorda l’ora?
«Il crollo del seracco è avvenuto esattamente alle ore 13, 43 minuti e 27 secondi. Lo sappiamo perché l’evento è stato così forte da essere rilevato dai sensori per il monitoraggio sismico. Due minuti dopo è arrivata la prima chiamata al numero per le emergenze 112, smistata al 118».

In quanto tempo avete raggiunto il ghiacciaio?
«L’elicottero di Trentino Emergenza è stato il primo ad arrivare, alle 13.52. A seguire, a distanza di un minuto, quello di Bressanone, quindi, alle 13.55, i due veneti, del Suem 118 e di Dolomiti Emergency. Nel frattempo la nostra centrale operativa aveva attivato il protocollo valanga».

Qual era lo scenario?
«Una situazione spettrale. Sorvolando l’area si notava una massa grigia, che ancora non riuscivamo a definire, e tanti puntini colorati, gli escursionisti, tanti di questi incolumi, che vagavano random, senza meta, inebetiti, storditi».

E una volta scesi a terra?
«Un quadro tragico: l’effetto della franata di ghiaccio e roccia, con in più l’acqua che era penetrata nella calotta e che ha fatto da lubrificante, è stato quello di un frullatore, di una centrifuga. Corpi contundenti che hanno provocato varie fratture, traumi cranici, facciali.. e purtroppo anche ucciso».

Chi sono i primi che ha soccorso?
«Mi sono subito avvicinato a un escursionista in parte sommerso dal materiale ma non potevo fare più nulla per lui. La sua salma è stata recuperata con un volo successivo, assieme a un secondo corpo. A stretto giro abbiamo trasferito al punto medico avanzato allestito a Canazei due donne ferite e un ragazzo, che nel frattempo era stato accolto al vicino rifugio Capanna Ghiacciaio».

Il ragazzo che era riuscito a dare l’allarme?
«Sì, aveva chiamato il 112 spiegando che sanguinava in volto, che non vedeva più i suoi compagni (tutti e tre deceduti ndr): era molto stordito e provato».

C’era anche chi urlava o chiedeva aiuto?
«No, solo silenzio. Un silenzio irreale. Nessun rumore. Nemmeno i corvi che gracchiavano, solo le pale dell’elicottero. Succede così nelle catastrofi, negli incidenti».

Non temevate ulteriori crolli?
«Sì, c’era il rischio e proprio per l’instabilità della zona, messo in sicurezza il personale di soccorso, siamo intervenuti prelevando nel più breve tempo possibile i feriti (con la modalità “prendi e scappa”), per trasferirli al piccolo ospedale da campo allestito a Canazei, dove ho proceduto con il triage dei pazienti, destinati poi ai vari ospedali».

Il bilancio è stato di undici morti (la trentina Liliana Bertoldi, otto veneti e due cechi) e sette feriti. Per i periti della Procura (di recente l’inchiesta è stata archiviata) un crollo imprevedibile.
«Nessuno si sarebbe aspettato un simile evento, così incredibile. Non c’erano state nemmeno avvisaglie, di alcun genere. Diversamente avrebbero interdetto l’area, nessuna guida alpina si sarebbe sognata di portarci dei clienti».

Tra le vittime c’erano anche esperti e due guide alpine..
«L’aspetto tragico è che erano tutti esperti ed equipaggiati, legati tra loro, in sicurezza… Si è trattato di un’incredibile concatenazione di eventi sfortunati, avversi».

Si spieghi meglio…
«C’era il fatto che fosse domenica, giornata di maggiore afflusso; che fossero le 13.43, quindi l’orario di rientro, e che la temperatura a quell’altitudine (il distacco è avvenuto a 3200 metri) fosse di 10.7 gradi, inconcepibile per la montagna».

Ci è più tornato lassù?
«Ad aprile, una scialpinistica con una guida alpina di Canazei, tra i volontari del soccorso alpino intervenuti il 3 luglio 2022, e con un altro amico. Quando siamo stati sotto, in corrispondenza di quello che rimane di quella carie mostruosa, ci siamo fermati un minuto in rigoroso silenzio, a ricordare le vittime».

Qualcuno si è fatto vivo per ringraziarla come già successo?
«Nessuno, ma non ho bisogno di ringraziamenti. Faccio il mio lavoro perché ci credo».