Il museo
domenica 14 Aprile, 2024
di Tommaso Di Giannantonio
«Ci tengo a dichiarare – dice il duce – che il governo che ho l’onore di presiedere è un amico sincero dell’arte e degli artisti. Il duce voleva la mostra di Sgarbi». Ha concluso così, con una citazione di un discorso del dittatore Benito Mussolini e una chiosa ironica, il suo intervento di presentazione di «Arte e fascismo», al Mart di Rovereto da oggi al 1° settembre. Ieri, in un auditorium Melotti semipieno, il presidente del Museo di arte e contemporanea di Trento e Rovereto ha inaugurato la mostra a suo modo, muovendosi tra arte, sofismi e riferimenti a fatti di cronaca, tra cui «le 60 piante d’uva contro Fugatti: questo è fascismo». «Speravo che la mostra diventasse un caso politico, che ci fosse una censura, polemica, e invece motivo di scandalo è stata una mia battuta infelice», ha detto alludendo alle parole omofobe pronunciate da lui stesso in un video girato nei giorni scorsi da un ragazzo a Riva del Garda.
Seduti in prima fila, uno vicino all’altra, c’erano il presidente della Provincia Maurizio Fugatti e la sindaca di Rovereto Giulia Robol, che nel suo intervento non ha mai nominato la parola fascismo. A fianco a loro sedevano il senatore leghista Claudio Borghi e l’ex assessore provinciale alla cultura (leghista) Mirko Bisesti. Non c’era l’attuale assessora alla cultura Francesca Gerosa. Tra i presenti anche il presidente del Consiglio provinciale, Claudio Soini, che ha visitato la mostra. In seconda fila, invece, Gianpiero Lui, candidato sindaco di Progetto Rovereto. Sgarbi ha avuto modo di ironizzare anche sul suo cognome. Più defilate, in quarta fila, le consigliere provinciali del Partito democratico Lucia Maestri e Francesca Parolari. Per il resto, un pubblico di esperti d’arte, appassionati, curiosi, «fan» di Sgarbi e, forse, anche qualche nostalgico.
La mostra – a cura di Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari – analizza i vari e complessi modi in cui il regime fascista influì sulla produzione figurativa italiana, utilizzando a fini propagandistici i linguaggi dell’arte e dell’architettura. «Venti anni che sono stati giudicati come il momento più triste del secolo che abbiamo alle spalle», ha esordito così il presidente del Mart. E subito dopo ha voluto sbrogliare tutti i possibili equivoci sottesi alla mostra. «Noi siamo tutti, necessariamente, post-fascisti — ha proseguito — La generazione mia lo è nella sua dimensione più fattuale e la gran parte di noi, se non una minoranza che non ritengo da destare preoccupazioni rispetto all’ordine e allo Stato, è antifascista. Io sono antifascista. La nostra cultura è antifascista. Se siamo antifascisti, il fascismo è finito, il regime non c’è più. Dobbiamo combattere il rischio che ci sia un ritorno del fascismo. L’essere antifascisti, però, non deve essere un pregiudizio che impedisce di guardare quello che è accaduto, anche l’orrore di appendere un uomo che è stato ucciso, giustiziato, forse legittimamente, per i piedi a piazzale Loreto: qualcosa che non corrisponde al rispetto per l’umanità, anche quella più spregiata o spregevole».
La condanna di Mussolini, il suo corpo appeso a testa in giù, segna in qualche modo l’inizio e la fine del percorso allestito all’interno del museo: «Di fatti — ha spiegato Sgarbi — la mostra si chiude con un segnale per i naviganti, c’è un busto straordinario, il capolavoro della cultura del fascismo, il busto di Adolfo Wildt, di cui all’entrata vedrete un esemplare in bronzo intatto, alla fine lo vedrete impallinato da colpi di mitra, in cui si è ucciso, non Mussolini, ma si è ucciso Wildt, si è uccisa l’arte».
Il presidente del Mart ha trovato sponda in un concetto per legittimare la «sua» mostra: «L’arte è individuale». «Il potere sta sempre dalla parte sbagliata, qualunque potere — ha osservato — Il potere è quello che stabiliscono le masse rispetto a qualcuno che le guida e non ha nessun carattere individuale, per cui l’epigrafe con cui ho voluto indicare le mie intenzioni è “nell’arte non c’è fascismo, nel fascismo non c’è arte”. Il fascismo è estraneo all’arte perché è un ordine sbagliato della società, l’arte invece è fatta di individui. La creazione è sempre individuale, è individuale anche per chi guarda a quel potere con lo spirito del consenso, come i futuristi che noi ammiriamo, come Depero: questo museo è fascista perché Depero è stato fascista fino all’ultimo momento della sua vita». L’applauso, l’unico, ad eccezione di quello finale, è arrivato quando ha detto che «il Mart ha fatto la storia contro chi ha avuto paura di farla». «Fascista — ha aggiunto più avanti — è chi ha distrutto 60 piante d’uva contro il presidente Fugatti. Non c’è niente che permette di distruggere delle viti in nome della difesa dell’orso. Sono atti di prepotenza, come furono quelli che portarono il duce a essere appeso per i piedi».
Il governatore era già salito sul palco. Il suo intervento ha preceduto quello di Sgarbi. E si è aperto con un aneddoto: «Quando non era ancora presidente del Mart, parlammo di una precedente mostra che toccava queste tematiche — ha raccontato Fugatti — In quell’occasione disse: “Servirebbe il coraggio di chiamarla con il suo vero nome”. Oggi, dopo cinque anni, torniamo su questo fronte e il presidente ha il coraggio di chiamarla con il proprio nome. In altre situazioni una mostra simile si era fatta, ma non si è avuto il coraggio di chiamarla così: questo è anche un esercizio di libertà. Noi condanniamo il fascismo, la storia ha fatto il suo corso, però serve il coraggio di riuscire a mostrare quel che c’era in quel periodo: è il modo più trasparente di fare arte e cultura».
A seguire, si è lasciato spazio a uno spettacolo teatrale su Margherita Sarfatti. E infine al «brindisi antifascista» nella piazza del Mart: «Una battuta», ha concluso Sgarbi.
Foto Federico Nardelli