Il progetto
mercoledì 18 Ottobre, 2023
di Francesco Morandini
Un vivaio ridotto a un triste prato. Così l’ex direttore dell’ufficio distrettuale delle foreste di Cavalese descriveva, in una lettera pubblicata da «Il T», il risultato «dell’improvvida chiusura» del vivaio di Masi di Cavalese, (salito all’onore delle cronache come «orto dei pezi» dove sarebbe dovuto sorgere il nuovo ospedale secondo il progetto di partenariato pubblico privato della Mak Costruzioni), e in cui sottolineava la necessità di riattivarlo per far fronte all’urgenza di piantumare almeno le rive più pericolose distrutte da Vaia e dal bostrico.
Una lenta chiusura
Una chiusura progressiva, silenziosa – denuncia Gigi Casanova, ambientalista, ma prima di tutto per anni custode forestale a Moena – iniziata nel 2009 e proseguita con un depotenziamento progressivo, peraltro mai comunicato alle sessioni forestali.
«È stato un lento decadimento fino alla permuta nel 2009 con la Comunità di Fiemme, contrastata sia da Bruno Crosignani sia, prima di lui, da Marcello Mazzucchi il quale – osserva Casanova – con lungimiranza aveva seminato anche latifoglie, betulle, acero montano, eccetera. C’era inoltre del personale specializzato e preparato che ora non c’è più».
Un vivaio, quindi, abbandonato, forse per puntare su quello della val di Selle nella convinzione diffusa fra gli addetti ai lavori che ci si doveva orientare sulla rinnovazione naturale.
Tipi di piantumazione
«È giusto non puntare sulla piantumazione artificiale – osserva Casanova – ma essa è importante per aiutare quella naturale, soprattutto nelle zone più esposte e ripide».
Fatto sta che dal 2018, proprio in concomitanza con Vaia, quell’area è di proprietà della Magnifica Comunità di Fiemme, ed è diventato un bellissimo prato, tranne una striscia di mille metri quadri, affittata all’Agenzia forestale.
I progetti della Magnifica
E la Comunità, che s’era schierata contro l’ospedale in quella zona, cosa intende fare? Sarà ripristinato il vivaio?
«Il vivaio di Solaiolo ci garantisce una quantità di alberi che corrisponde alla capacità massima di impianto – afferma lo scario Mauro Gilmozzi – il nostro progetto è di ampliare questa attività a Masi, che era uno dei migliori vivai esistenti, anche per vendere, scegliendo le diverse specie. Però bisogna contemporaneamente potenziare gli addetti, portare l’acquedotto che è interrotto. Una serie di piccole opere che intendiamo mettere in campo per la primavera». Ma lo scario sembra preoccupato anche del fine vita delle piante, oltreché della nascita. «Assieme a questo stiamo progettando un sistema di depositi. Intanto che pensiamo al bosco che deve ricrescere dobbiamo pensare anche a quello che viene giù e al suo valore economico e quindi, con queste turbolenze del mercato, riuscire a conservare, anche se per poco tempo, e soprattutto trasformare, il legname, per mantenere nel tempo il suo valore economico».
Serve manodopera specializzata
Quindi quel prato, scongiurato il cemento dell’ospedale, ritornerà vivaio, questa volta della Comunità, ma a disposizione anche di altri enti. Non tutto però. «Ci basterà un’area come quella attuale di Solaiolo, o anche più piccola, che crescerà un po’ alla volta – conferma Gilmozzi – tenendo conto anche della capacità di impianto. Non è semplice come sembra, le piante messe a dimora devono essere seguite almeno per tre anni, curate, sostituite, con manodopera specializzata che segua questa attività».
Il bisogno di piantine, soprattutto di larici, è fuori discussione, tant’è che la Regola Feudale di Predazzo aveva in programma la piantumazione di larici su un’area di 3 ettari, ma ha dovuto optare per l’abete, non trovando piantine di larice in Italia, ma solo in Austria e a prezzi astronomici.
Gilmozzi conferma e rilancia. «Oltretutto, avere un vivaio qua ci consente di avere piante più vicine al territorio dove vengono piantate».
La rinascita a primavera
Dalla prossima primavera il vivaio, dunque, dovrebbe iniziare a rinascere?
«È uno dei progetti prioritari, anche per la scelta delle specie, che sarà sostenuto anche dal Rotary Club con appezzamenti sperimentali per capire quali specie utilizzare. Poi ci vuole la forza lavoro; la Magnifica ha sempre piantato finora 20-30 ettari annui, adesso siamo a 50, solo che con queste forze per 1000 ettari ci vogliono vent’anni».
Dopo una puntuale verifica, lo Scario Mauro Gilmozzi ci aggiorna i dati e le prospettive del vivaio di Masi. «Attualmente al vivaio di Solaiolo – spiega Gilmozzi – abbiamo 50.000 piantine, a Masi inizieremo con 1 ettaro quindi circa 100.000 piantine con la possibilità di allargarlo ad ovest fino a ottenere la produzione del vecchio vivaio che era di circa 200.000 piantine». Un lavoro non indifferente, sottolinea lo Scario, che inizia con la raccolta dei semi e prosegue in diversi step che richiedono tempi lunghi e professionalità.
Quelle professionalità e quel personale preparato e specializzato che, come sottolineava Casanova, è andato perso assieme all’orto dei pezi.
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