L'esperto

domenica 7 Maggio, 2023

Massimo Gaggi e il mondo ai tempi del capitalismo digitale: «I teorici della democrazia? Sostituiti da imprenditori»

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L'editorialista e corrispondente dagli Usa del Corriere della Sera sale sul palco del Wired Next Fest per parlare dell'effetto di internet sulla nostra società

Perché la promessa di una società che attraverso internet sarebbe dovuta diventare più aperta, informata, consapevole, e dunque più democratica, è stata disattesa? Come mai l’esplosione del digitale non ha determinato una nuova fase di sviluppo economico, come era accaduto per le rivoluzioni tecnologiche degli ultimi secoli? Quali sono i rischi connessi all’utilizzo delle piattaforme di intelligenza artificiale generativa come ChatGpt, che pochi giorni fa Jen Easterly – direttrice della Cisa, la Cybersecurity and infrastructure Security Agency americana – ha definito il più grande problema di sicurezza che dovremo affrontare in questo secolo?
Temi di indifferibile attualità come questi sono al centro di Profeti, oligarchi e spie. Democrazia e società nell’era del capitalismo digitale (Feltrinelli, 2023; pp. 320; 22 euro) il libro di Franco Bernabè e Massimo Gaggi. Editorialista del Corriere della Sera negli Stati Uniti, autore di diversi libri, tra cui il recente La scommessa Biden, Gaggi sarà ospite del Wired Next Festival di Rovereto. L’appuntamento è per domenica alle 17 in piazza Malfatti sul tema «L’Italia alla prova del futuro», in dialogo con Alan Friedman.
Massimo Gaggi, perché internet non è riuscita a realizzare il sogno di una democrazia perfetta?
«È accaduto che i teorici, secondo i quali la internet sarebbe dovuta diventare la democrazia perfetta, sono stati sostituiti da imprenditori di start-up digitali, inizialmente anch’essi sognatori ma poi, man mano che la tecnologia si è sviluppata, diventati dei capitalisti che sapevano di avere in mano uno strumento di grande potenza. Ciò è successo perché da un punto di vista politico, Clinton – la cui amministrazione è stata quella chiave in questo processo – e soprattutto il suo vice Al Gore, avevano chiaro in testa un elemento».
Quale?
«C’era la consapevolezza che queste aziende potevano diventare il motore di un nuovo settore dell’economia che avrebbe offerto nuove opportunità di lavoro e quindi una nuova fonte di reddito nazionale. Andavano perciò aiutate a crescere in un mondo come quello degli anni novanta, ancora stretto all’oligopolio dei grandi gruppi delle telecomunicazioni. Se non avessero avuto piena libertà, avrebbero rischiato di morire appena nate, quindi è stata data loro totale libertà operativa rispetto anche alle aziende editoriali “normali”, con una totale irresponsabilità dei contenuti immessi nelle piattaforme e una serie di altre agevolazioni, a partire da quelle di tipo fiscale. Per molti anni hanno goduto infatti di esenzioni da ogni tipo di tassazione per quanto riguarda l’e-commerce».
È stato così che un’economia nascente è potuta diventare quasi onnipotente?
«Nel libro raccontiamo tutto ciò nei dettagli, seguendo l’intero processo legislativo e mettendo in luce le differenze tra Usa ed Europa. Da un certo punto in poi ci si è resi conto che, se tutto ciò era stato fatto per aiutare un’industria nascente, una volta cresciuta e diventata potente, tale industria andava regolamentata come tutti gli altri settori. Ciò non è stato fatto, così non solo quell’industria è diventata quasi onnipotente, ma ha potuto anche alimentare delle lobby talmente forti politicamente da essere in qualche modo invulnerabile».
A cosa fa riferimento?
«Ad esempio, Barack Obama, considerato il primo presidente tecnologico d’America, non ha mai toccato né Facebook né Google, anche perché la sua campagna elettorale ha avuto aiuti consistenti da un cofondatore di Facebook e dall’allora presidente di Google Eric Schmidt, che addirittura è poi entrato nel cosiddetto gabinetto della transizione. Noi giornalisti che abbiamo sempre scritto in modo molto positivo di Obama, dovremo fare una sorta di “mea culpa” perché una delle cose da considerare in modo critico degli otto anni in cui è stato presidente, è il suo non aver fatto nulla per regolamentare dette aziende. Appena lasciata la presidenza, però, in un discorso fatto a un gruppo di studenti, Obama ha affermato che tale regolamentazione sarebbe stata una delle questioni essenziali da affrontare nel nuovo millennio».
Che cosa rappresenta dal punto di vista simbolico l’assalto al Congresso degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021, episodio con cui Profeti, oligarchi e spie si apre?
«In qualche modo è un esempio molto drastico delle conseguenze di non aver regolamentato le reti sociali, la cui necessità cominciava ad essere evidente con l’elezione di Trump del 2016. Mark Zuckerberg inizialmente affermò che Facebook non aveva interferito con quel risultato, ma davanti alle dimostrazioni che le sue dichiarazioni erano false, dovette presto ammettere di avere avuto delle responsabilità. Poco dopo uscì anche lo scandalo di Cambridge Analytica».
Ce lo spiega?
«Si scoprì che questa società praticamente manipolava i meccanismi di accesso alle informazioni elettorali. In qualche modo interveniva utilizzando i dati privati e personali di milioni di americani, consentendo di fare operazioni di microtargeting. A quel punto, ci si è resi conto dell’esistenza di distorsioni molto pesanti. In questo senso, l’assalto al Congresso è l’episodio che ha condizionato maggiormente la democrazia americana e che tuttora mette Biden nella condizione di trovarsi con quasi metà Paese che non crede alla legittimità della sua elezione, proprio per come sono state usate in malafede le reti sociali».
Perché l’esplosione del digitale non ha determinato uno sviluppo economico analogo a quello delle rivoluzioni tecnologiche precedenti, come la macchina a vapore e l’elettricità?
«Le rivoluzioni tecnologiche del passato hanno creato i presupposti per lo sviluppo di nuove attività fisiche che prima non esistevano. Con la caldaia a vapore il cavallo è stato sostituito dalla ferrovia, l’elettricità ha consentito di meccanizzare i telai, e così via. Nel caso delle tecnologie digitali, quello che abbiamo visto finora è un processo di sostituzione e non di creazione di nuove attività, non sono nati nuovi settori, se non quelli legati alle deficienze e all’uso dei sistemi. Mi riferisco alla nascita della gigantesca industria della cyber security per i fenomeni di criminalità e degli attacchi informatici».
Come si è passati dall’utopia libertaria alla sorveglianza di massa?
«L’utopia libertaria si collegava all’idea che la rete avrebbe creato la democrazia perfetta, garantendo a tutti l’accesso libero e la possibilità di prendere decisioni online in modo condiviso, in qualche modo scavalcando le istituzioni della democrazia rappresentativa. Non è successo. È successo invece che i monopolisti detentori dell’e-tech, che gestiscono la rete, hanno acquisito un’enorme quantità di dati sulle nostre vite personali, che possono essere utilizzati anche come strumento di sorveglianza di massa. Nel caso di Facebook e di Cambridge Analytica, come abbiamo visto prima, anche al fine di manipolazione dei risultati elettorali. Le nuove tecnologie di riconoscimento facciale acuiscono questo fenomeno, e possono essere utilizzate non solo a scopo commerciale ma anche governativo e militare, con fini repressivi».
L’attenzione del presente è puntata sull’intelligenza artificiale, in particolare su ChatGpt.
«La potenza di questa tecnologia ha fatto sì che anche i tecnologi, che da sempre guardano con sospetto a chi chiede regole e riflessioni sullo sviluppo della tecnologia, abbiano cominciato ad avvertire che, se non regolamentata, l’intelligenza artificiale può essere molto pericolosa. Ne è nato l’appello a una moratoria per almeno sei mesi, firmato da oltre mille scienziati e intellettuali, guidati da Elon Musk. Da alcuni, quello di Musk è stato considerato anche un “dispetto” nei confronti di Microsoft e di OpenAi, ma a ben guardare lo stesso fondatore di OpenAi Sam Altman gestisce questa tecnologia con mota cautela e avverte che comporta dei rischi molto rilevanti. Pochi giorni fa, inoltre, la direttrice della Cisa Jen Easterly, ha definito ChatGpt la più grossa sfida della sicurezza informatica del nostro secolo».