l'intervista
sabato 15 Giugno, 2024
di Lorenzo Fabiano
«Lo stato del presente si regge sulla smemoratezza, e allora la memoria è il mio strumento di lotta», spiega Maurizio Maggiani, giornalista e scrittore Premio Strega nel 2005: in quelle parole ci sono le fondamenta del suo ultimo libro, «La memoria e la lotta – Calendario intimo della Repubblica» (Feltrinelli) che sarà presentato dall’autore questa sera alle 19 presso la sala del Museo Civico di Rovereto, ospite della Libreria Arcadia. «Anarco-Mazziniano», così si definisce, Maggiani è una delle penne più fini, sensibili e impegnate nel difendere i valori della libertà e della giustizia sociale nel nostro Paese. Questo saggio, una sorta di diario con frammenti di storia d’Italia e di vita personale, non è che un ulteriore passo in quella direzione nel suo cammino di autore. Un libro fortemente sentito e altrettanto fortemente voluto in un momento come questo.
Maggiani, partiamo dal titolo e da quelle due parole, memoria e lotta.
«Vanno insieme. Vedo in corso la corrosione e l’erosione della memoria, ecco perché la memoria è quindi uno strumento di lotta per affermare e riaffermare ciò che si sta cancellando, partendo dalle origini della Repubblica alla quale apparteniamo. Sono nato in una famiglia molto povera, ma di grandi speranze. Mio padre, che aveva combattuto in Africa e poi per la libertà, era un operaio: la stanza dove sono nato l’aveva acquistata pagandola a rate; la sua generazione ha fondato la Repubblica, che è nata perché i ragazzi come me potessero nascere nella speranza. Ora, chi nasce più nella speranza?».
Il libro è dedicato a «chi vive nelle macerie». Vuole spiegare?
«Io credo che il nostro Paese stia vivendo in macerie culturali e politiche. Lo spirito delle Repubblica si sta spegnendo: era lo spirito di speranzosità e promettenza della mia giovinezza, una storia di grandi lotte e conflitti, ma in cui tutto si risolveva nella Repubblica. Alla fine degli anni Sessanta e nel decennio seguente abbiamo avuto tentativi di colpo di Stato, stragi, il terrorismo, ma anche grandi conquiste sociali: erano di promettenza, poi sono finiti».
Quando?
«Il 9 maggio del 1978, con l’assassinio di Aldo Moro, che ha sancito la fine del conflitto creativo, che stava nella capacità di trovare la soluzione nei conflitti. Quel giorno si è chiusa l’età della speranzosità».
Un altro spartiacque nella sua storia personale, raccontato nel libro, è la guerra in Bosnia. Sono passati trent’anni, ma a quanto pare non abbiamo imparato nulla se ci troviamo oggi a fronteggiare due guerre.
«Questa è la cosa più triste. Ho definitivamente perso la capacità di essere non solo speranzoso, ma anche costruttivo. Cosa vuoi costruire, dopo quello che è accaduto? Com’è possibile che l’Europa abbia tollerato quello che è successo e che oggi, a distanza di trent’anni, siamo di nuovo sull’orlo di qualcosa che gli assomiglia e che tutto quello che riusciamo come europei a immaginare sia solo una condizione di guerra perpetua. Io questo lo trovo intollerabile».
Sull’Europa è arrivata un’onda nera. Come lo spiega?
«Quanti sono coloro che godono veramente dei benefici della democrazia liberale in termini di giustizia ed equità sociale? Se Macron governa senza essere davvero liberale, è chiaro che la risposta sarà illiberale; se in Germania c’è un governo socialista senza ombra di socialismo, cosa mai puoi aspettarti se non la vendetta degli esclusi e degli impoveriti. È qualcosa già accaduto ai tempi della Repubblica di Weimar che andò in crisi proprio perché non riusciva a fare nulla di socialista. Così nacque il nazionalsocialismo. In questa onda nera vedo una disperata vendetta degli esclusi e dei traditi dal sistema liberaldemocratico. Non è accettabile che gran parte dei popoli d’Europa viva in una costante condizione di depressione. Poi finisce che reagiscono per disperazione».
L’Italia non è certo esclusa, ma anche la sinistra ha le sue belle responsabilità. Per dirla con Nanni Moretti, non diceva nulla di sinistra. È d’accordo?
«La sinistra è stata al governo per circa metà del ventennio Berlusconiano, ma non ce ne siamo accorti: se coi governi di sinistra, la povertà non diminuisce ma continua ad aumentare, qualcosa che non va ci deve essere».
A un anno dalla sua morte, stiamo assistendo a un’operazione di beatificazione di Silvio Berlusconi.
«Io non dimentico, io porto memoria. Quella di Berlusconi è stata una grande rivoluzione, l’unica che abbiamo visto dagli anni Ottanta sin qua. Una rivoluzione che ha portato la politica alla pornografia. Ancora non vedo un antidoto a tutto questo».
Vede una pulsione autoritaria in Italia?
«Detto che questa continua richiesta alla Meloni di dichiararsi antifascista non mi appassiona: tanto, che cambia? Quello che vedo è la volontà di costruire una Repubblica basata sull’autoritarismo e nella costituzionalizzazione delle diseguaglianze. Questo governo fa del teppismo nei confronti della Costituzione. Non ha gli strumenti culturali per riscriverla, ma gli strumenti per fare mobbing li ha, li mette in pratica e lo abbiamo visto nelle manganellate agli studenti a Pisa, nella querela consegnata alle 4 di mattina a un giornalista in una stanza d’albergo, nella vicenda di Scurati, e via dicendo. Sono avvertimenti. Del resto, il primo ministro ha dettato lo stile del suo governo: “O la va o la spacca”. Questo è il governo del “o la va o la spacca”».
Non è molto incoraggiante…
«Eh insomma… Io non esco la mattina pensando “o la va o la spacca” …».
«Vivere nei sogni è utopia». Questa frase è di suo padre.
«La disse a un medico che gli chiese di dire la prima cosa che gli venisse in mente per un test sull’Alzheimer. Mi colpì molto l’abbia detta uno come lui che faceva l’operaio. Che un operaio potesse vivere di sogni, è una cosa bellissima. La vita di chiunque è una vita talmente grande che si può pensare di vivere di sogni».
C’è ancora spazio per vivere di sogni?
«Non lo so. So solo che il sistema di intrattenimento mediatico, social e televisione, è talmente invasivo e pervasivo che alla fine rischi di non aver più la forza per sognare. Ci sono gli altri che sognano per te e ti consegnano i sogni già fatti. “Vai a casa in fretta che c’è il biscione che ti aspetta”, recitava un manifesto di Canale 5, la prima tv commerciale. Come dire, non fermarti a fare quattro chiacchiere con gli amici al bar, vai a casa che la televisione ti aspetta».