Sanità
sabato 4 Maggio, 2024
di Davide Orsato
Sono la speranza della sanità territoriale del futuro. Quaranta nuovi medici che, una volta usciti dal corso provinciale approderanno negli ambulatori di tutto il Trentino, pronti a diventare «dottori di famiglia». Se tutto andrà bene. Perché, come per questa e altre questioni mediche, la mobilità, verso altre parti d’Italia e verso l’estero è sempre in agguato.
Il bando
Ieri è stato approvato il bando con cui la giunta provinciale, su proposta dell’assessore alla salute e politiche sociali, Mario Tonina, prevede quaranta posti per il corso di formazione specifica in medicina generale. E già da prima della conclusione del triennio ci sarà la possibilità di prendere in carico dei pazienti sul territorio. Gli studenti saranno retribuiti con una borsa di studio, pari a 11.603 euro all’anno, che diventeranno 25 mila (con 13.397 euro aggiuntivi) per chi risiede da almeno due anni in provincia di Trento. Ci sono, inoltre, venti borse aggiuntive agli iscritti che si assumono specifici impegni lavorativi nell’ambito della sanità trentina al conseguimento del diploma. Lo prevede la normativa provinciale: lo scopo è quello di convincere il più possibile i futuri medici che studiano già a Trento (e che arrivano da università fuori provincia, non essendosi ancora laureati i primi del corso Unitn) a rimanere sul territorio.
Il corso, che abilita alla professione di medico di medicina generale, dura tre anni per almeno 4.800 ore di formazione, di cui due terzi rivolte all’attività formativa di natura pratica: il bando sarà pubblicato sul bollettino della Regione e, da allora, sarà possibile iscriversi sul sito www.trentinosalute.it. Quanto alla data dell’esame di ammissione, la stessa in tutta Italia, sarà il 9 ottobre.
Il nodo case di comunità
Le reazioni dei sindacati alla notizia, attesa, sono state positive, anche se con qualche cautela. La Fimmg, Federazione italiana medici di medicina generale, applaude all’iniziativa: «In un momento storico — fa sapere il segretario trentino, Valerio Di Giannantonio — caratterizzato da carenza di medici a fronte dell’incremento delle fragilità e dei bisogni di salute dei cittadini, l’avvio della Scuola permetterà di formare e di inserire nel territorio nuove risorse professionali a sostegno del servizio sanitario nazionale e dell’assistenza territoriale. Lavoreremo per un esito proficuo delle trattative in corso per la sottoscrizione di accordi integrativi, affinché garantiscano ai nuovi colleghi condizioni di lavoro economiche, organizzative e professionali adeguate al ruolo di medico di fiducia delle famiglie trentine».
Tutto bene, quindi? No, perché c’è comunque il timore che le promesse della Provincia non si riveleranno sufficienti a «trattenere» sul territorio i futuri dottori di famiglia. A pesare, in particolare, è un passaggio del nuovo accordo collettivo nazionale siglato lo scorso 9 febbraio, atteso da molti anni. È quello che riguarda le Case di Comunità, le nuove strutture che dovrebbero, anche in Trentino, diventare il centro di riferimento dell’offerta sanitaria territoriale: «I giovani colleghi che si preparano a diventare medici di famiglia generale — nota Nicola Paoli, segretario dello Smi, sindacato medici italiani — sono molto preoccupati dal fatto di essere obbligati, una volta diplomati, a prestare servizio in quei contesti. La Provincia dovrebbe, più che promettere soldi, rassicurarli sul fatto che potranno continuare a fare i medici di medicina generale come è sempre stato fatto: in libera professione e senza essere inseriti, di fatto in un organigramma. È un tema che abbiamo posto anche in sede di accordo e che va assolutamente chiarito».