Il racconto

giovedì 12 Ottobre, 2023

Medioriente, il trentino fuggito dopo l’attacco: «Ci siamo svegliati al suono delle sirene su Gerusalemme»

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Gian Mario Maggio doveva partecipare a una conferenza
Nel riquadro: Gian Mario Maggio

Doveva essere un viaggio di lavoro, di confronto e di conoscenza dell’ecosistema quello di Gian Mario Maggio in Israele. L’ingegnere elettronico residente a Trento, era atterrato all’aeroporto Ben Gurion venerdì 6 ottobre sera per prendere parte all’edizione 2023 dell’Ecosystem Summit. «Lavoro nell’ambito dell’Istituto europeo di innovazione e tecnologia (EIT) – ci racconta – E mi occupo di innovazione in ambito industriale. L’appuntamento israeliano aveva in programma una serie di incontri tra professionisti del settore e doveva culminare in una grande conferenza martedì 10 ottobre con oltre 600 partecipanti di cui avrei anche dovuto essere relatore». Invece il viaggio di Maggio si è trasformato in un incubo fatto di corse nei rifugi, sirene che ululano, aggiornamenti frammentari e tentativi di tornare a casa. Non poteva essere altrimenti, sabato 7 ottobre, poche ore dopo l’arrivo di Maggio, è un giorno destinato ad entrare tragicamente nei libri di storia. Quella mattina le milizie di Hamas hanno sfondato il muro di cemento che da più di 15 anni circonda la striscia di Gaza e senza trovare resistenza, complice l’impreparazione dell’esercito e dell’intelligence israeliana, hanno attaccato i Kibbutz e gli insediamenti vicino al confine, per poi spingersi sempre più all’interno del territorio israeliano lasciandosi dietro centinaia di morti.

Maggio quando è arrivato in Israele?
«Sono arrivato venerdì sera, prima che iniziasse l’attacco quindi. I primi appuntamenti del programma di visita legato all’Ecosystem Summit erano a Gerusalemme quindi mi sono recato subito lì in albergo».

Poi cosa è successo?
«Sabato mattina ci siamo svegliati al suono delle sirene che impazzavano su Gerusalemme. In albergo ci hanno spiegato che dovevamo recarci immediatamente nella zona protetta della struttura. Da lì è cominciata una giornata scandita da questo passaggio delle nostre stanze ai rifugi, sarà successo almeno sei o sette volte. I rifugi si trovavano nei piani sotterranei dell’albergo ed erano costruiti come devi veri e propri rifugi antimissili».

Eravate preoccupati?
«All’inizio no, ma perché non capivamo la portata della situazione, in Israele comunque gli allarmi sono abbastanza frequenti e non era la prima volta che mi ci recavo. Per distrarmi mi ero messo a leggere, nei rifugi poi non ci sono televisioni e non prende nemmeno il cellulare quindi era difficile capire cosa stesse succedendo, quindi quelle ore sono passate senza che ci rendessimo conto della gravità della situazione, solo più tardi abbiamo realizzato».

E poi?
«Anche se a Gerusalemme non è successo nulla, guardando la mappa e gli attacchi ci si rendeva conto di quanto la città fosse circondata e vicino alle zone in cui si sparava. Lì mi è salita molta preoccupazione, anche perché gli attacchi riguardavano vaste porzioni del paese e anche le zone vicine all’aeroporto. Ero preoccupato soprattutto pensando alla mia famiglia a casa, ma per fortuna siamo riusciti a rimanere in contatto e li ho rassicurati. Ero preoccupato anche per una collega incinta che si trovava con me, ho cercato di rassicurarla».

Tutto questo è successo durante la giornata di sabato, quando avete deciso di partire?
«Quando abbiamo capito la situazione. Eravamo un gruppo di 25 persone provenienti da tutta Europa. Quando si è capita la gravità dell’attacco era chiaro che il programma non si sarebbe svolto e che era invece importante cercare di lasciare il paese il prima possibile. La prima cosa che ho fatto è stata informare la Farnesina della mia posizione, come hanno fatto tanti altri connazionali, e poi ho iniziato a cercare voli per il ritorno. Ne avevo trovato uno già sabato stesso, ma purtroppo è stato cancellato. Fortunatamente siamo riusciti a trovarne uno per domenica mattina molto presto. Abbiamo preso il volo e già domenica sono atterrato a Verona e ho fatto ritorno a Trento».

Com’è stato il viaggio fino all’aeroporto Ben Gurion?
«Ci siamo andati in taxi e confesso che è stato il momento in cui ho percepito di più il rischio e quindi la tensione. Passavamo per strade che pullulavano di polizia, con macchine che correvano a sirene spiegate. Per fortuna non abbiamo avuto nessun problema».

E in aeroporto che clima c’era?
«Noi siamo partiti molto presto, nel cuore della notte perché si partiva alle 6 del mattino. Quindi quando c’ero io devo dire che la situazione era tutto sommato tranquilla. Dopo so che è scoppiato il caos per via del fuggi fuggi generale. Era inevitabile, guardando lo schermo dei voli vedevo che già il 50% di quelli programmati erano cancellati e c’erano centianaia di persone che cercavano di andare via».