L'intervista
sabato 10 Dicembre, 2022
di Ubaldo Cordellini
Sono passati quattro anni da quella fredda sera dell’11 dicembre 2018 quando Antonio Megalizzi, giornalista, studente di studi internazionali e appassionato di Europa venne colpito alla testa da un folle attentatore solitario Chérif Chekatt che gli sparò a distanza ravvicinata. Morì tre giorni dopo. Quattro anni che sono nulla per Luana Moresco, la fidanzata che da allora si è impegnata per farne vivere la memoria, ma soprattutto per permettere ad Antonio «di continuare a fare delle cose, di realizzare i sui sogni» attraverso la Fondazione Megalizzi: «Sono passati quattro anni, ma di Antonio rimane ancora tanto, rimane tutto. Ancora ci parlo e sento la sua voce. Ricordo ogni momento, ricordo la sua energia e la sua passione che mi sono da sprone. Mi domando sempre cosa avrebbe detto o cosa avrebbe fatto lui in una determinata situazione. Ma ora, grazie a lui, nonostante la tragedia, abbiamo stretto legami, grazie a lui si è creata una comunità e riusciamo a costruire qualcosa di bello. Ora la sua è una figura che ispira tante persone. Lavoriamo tutti insieme qui alla Fondazione per portare avanti i suoi progetti. Non lo facciamo solo per lui, ma tutti i giovani che hanno gli stessi sogni e gli stessi obiettivi che aveva lui: promuovere la pace e la convivenza in Europa e nel mondo». Luana ha un pensiero per i genitori di Antonio: «Annamaria e Mimmo ci sostengono sempre. Vengono tutti i giorni in Fondazione. Si interessano al nostro lavoro, ci aiutano, ci portano le brioches al mattino e ci stanno vicino. Ci sostengono come se una piccola parte di Antonio vivesse in noi».
Caterina e la sera dell’attentato
Con Luana, nella sede della Fondazione, c’è Caterina Moser che quella sera era insieme ad Antonio e al loro amico polacco Bartek Niedzielski, anche lui morto sotto i colpi dell’attentatore: «Eravamo andati insieme a Strasburgo con il Flixbus, un cambio a Milano e poi di nuovo in autobus. Un viaggio molto lungo. La sera prima avevamo guardato alla televisione il discorso di Macron ai tempi dei gilet jaunes. Lui e Bartek erano rimasti in piedi fino a tarda notte a guardare le discussioni alla tv francese e a discutere. Erano molto appassionati. Poi, Bartek si era fermato a dormire sul divano. Era un giornalista che si occupava dei temi europei e quando andavamo a Strasburgo ci fermavamo sempre in un suo appartamento. Il giorno dopo siamo stati al Parlamento europeo, poi dovevamo andare a cena con altri giornalisti e ci siamo detti: perché non passiamo un’ora ai mercatini? Io e l’amica che era con noi ci siamo fermate a guardare una vetrina. Antonio e Bartek erano poco distanti quando c’è stato l’attentato. È stato tutto così veloce e improvviso», il ricordo si trasforma in dolore, in emozione profonda ed è meglio guardare avanti.
«Abbiamo formato 60 giovani»
Guardare a cosa ancora può e deve fare Antonio attraverso la Fondazione che gli è stata intitolata, come spiega Luana: «La Fondazione è una realtà. Siamo in tanti. Abbiamo formato 60 giovani in due anni con il progetto Ambasciatori che vanno in tutta Italia nelle scuole a parlare dei temi cari ad Antonio, di Europa, di superamento delle frontiere, di convivenza. Noi ci autofinanziamo raccogliendo fondi anche con piccoli lavoretti realizzati da volontarie. E le donazioni ci permetteranno di avviare un terzo anno del progetto Ambasciatori per formare altri 30 giovani che vadano nelle scuole». Caterina, mentre mostra la lettera di una bambina di quinta elementare di una scuola di Roma che elogia l’esperienza aggiunge che è un’emozione continua vedere i giovani che recepiscono il messaggio di Antonio: «Il progetto ci dà molte soddisfazione. Sentiamo molto forte questa missione. E sentiamo la vicinanza di tante persone e di tanti giovani. Spesso si parla di giovani di talento quando non ci sono più o quando vanno all’estero. Noi invece vogliamo che i giovani restino qui e possano trovare il loro spazio nella nostra società, nel nostro paese. Non sempre è facile farsi ascoltare, ma lavoriamo per questo».
Luana spiega che il progetto è cambiato in questi quattro anni: «La Fondazione è nata per Antonio, per dargli la possibilità di continuare a fare delle cose, per fargli realizzare i suoi sogni. Poi si è tramutata in un lavoro corale, per tutti. Non solo per Antonio. Il primo a dirmelo è stato David Sassoli: “Ora la Fondazione sarà di tutti, di tutti i giovani che vorranno frequentarla e lavorarci”. E aveva ragione. Ora ci lavoriamo in quattro, ma siamo fortunati e ci sono tanti giovani che ci sono vicini». Caterina aggiunge: «Abbiamo tanti amici che ci danno una mano, che hanno mille competenze come giornalismo, grafica e tante altre cose. Abbiamo imparato a fare di tutto e con entusiasmo. Siamo riusciti a fare un bando che ha raggiunto oltre 3 mila studenti in tutta Italia. I nostri ambasciatori sono responsabilizzati e costruiscono percorsi per le varie classi».
Antonio e l’Europa
Caterina poi torna con il pensiero ad Antonio: «Ci conoscevamo da tre anni. Parlavamo di viaggi, di Europa, dei piani per il futuro. Dei nostri sogni. Mi diceva sempre: “ma ti immagini se nelle scuole venisse insegnata l’Europa?”. E da lì siamo partiti.
Antonio, però, non era un ingenuo. Sapeva benissimo che nel percorso europeo ci sono mille difficoltà, ma lavorava sempre nell’ottica di migliorare la costruzione europea.
Guardava tutto in positivo a pensava sempre a come lavorare per migliorare la casa europea perché era convinto che all’Europa non ci fosse alternativa. Antonio era l’amico che ti stimola, che ti pungola. Mi incoraggiava a provarci sempre, in tutto.
Di solito io gli inviavo messaggi quando tornavo a casa la sera tardi e lui mi rispondeva con un vocale alle 5 di mattina quando stava per fare il giornale radio. Era strano ma anche molto bello vedere queste due vite che si toccavano solo agli estremi».
Dal ponte al podcast
Ora di Antonio resta tutto come dice Luana, resta il suo esempio, resta il suo ricordo, ma restano anche i suoi progetti e per questo queste due giovanissime donne lavorano: «C’è la mozione in Consiglio comunale per intitolare ad Antonio la passerella pedonale che collegherà il centro con Piedicastello – spiega Luana – I giovani dell’università di Cagliari hanno preparato un podcast che uscirà il 14 dicembre, il giorno della sua morte, per raccontarne la vita, i sogni e le passioni. La vignetta del Manifesto con quella bellissima immagine di Antonio in viaggio con la scritta “Antonio l’europeo” sarà proiettata sulla parete posteriore dell’ostello, verso la stazione. Ci sono tanti progetti in gestazione. Lavoriamo tanto perché i suoi sogni diventino realtà». Caterina aggiunge: «Questo non è un paese per giovani, ma c’è l’opportunità di provarci».