L'esperto
mercoledì 1 Marzo, 2023
di Davide Orsato
Servirà ancora qualche giorno per fugare i dubbi sugli esemplari di gabbiani alle foci del Sarca. I campioni biologici sono stati inviati all’Istituto zooprofilattico delle Venezie, assieme a quelli di un altro caso sospetto: un uccello di un’altra specie trovato nelle vicinanze del lago di Caldonazzo. In quest’ultimo caso, però, si tratterebbe più che altro di uno scrupolo: l’esemplare sarebbe stato trovato con delle ferite che non farebbero presupporre una malattia. Allo stato attuale, pertanto, in Trentino c’è «solo» un caso ufficiale di aviaria, quello rilevato in un gabbiamo trovato morto nel territorio comunale di Vallelaghi. Ma ciò deve rincuorare fino a un certo punto. L’epidemia è, infatti conclamata, lo affermano i moltissimi casi rilevati in tutto il mondo. E non occorre andare molto lontano per trovare dei focolai attivi: prima dell’esemplare di Vallelaghi, infatti, diversi gabbiani erano stati trovati a terra sulle sponde del Garda, sia su quella bresciana che su quella veronese. Chi ha familiarità con la statistica medica lo sa bene: in questi scenari difficile pensare che qualche territorio sia esente è una pia illusione. «Quel che è certo è che ci aspettiamo molti altri casi», commentano informalmente dall’Istituto zooprofilattico. Anche Stefano Merler, direttore del Centro per le Emergenze Sanitarie della Fondazione Bruno Kessler ed esperto di modelli matematici applicato all’epidemiologia ne è convinto: eventuali ritrovamenti sono solo la punta dell’iceberg.
Professor Merler, che idea si è fatto della diffusione del virus dell’aviaria?
«C’è ormai una casistica molto solida che fa pensare a una circolazione massiccia tra la fauna selvatica. I casi sono molti e sono attestati in gran parte del mondo, in diversi continenti».
Questo quanto ci deve preoccupare?
«Non è certamente una bella notizia, ma si può trovare un lato positivo: con una diffusione del genere sono stati accertati pochissimi casi in esseri umani, mentre non è ancora nemmeno certa la trasmissibilità da umano a umano. Significa che il virus fa ancora fatica a fare il salto di specie».
Nei giorni scorsi, però, l’istituto zooprofilattico delle Venezie ha messo in guardia per un rischio spillover, cioè proprio di salto di specie, nei confronti di visoni e, potenzialmente di altri mammiferi…
«L’attenzione deve rimanere alta. Il lato negativo della vicenda, infatti è che, ancora una volta, siamo alle prese con un virus di tipo influenzale e che si trasmette per via aerea. La sua diffusione importante nella fauna selvatica è comunque un campanello d’allarme, perché sappiamo che questi virus mutano con estrema facilità. Si tratta ormai di un fenomeno noto, con cui dobbiamo fare i conti».
L’esemplare rilevato in Vallelaghi presentava il virus H5N1. Si tratta di un patogeno noto?
«È conosciuto dal 1997, ossia dalla prima epidemia di aviaria. Proprio la lunga familiarità con il virus ci consente di essere relativamente tranquilli per quanto riguarda gli effetti sugli esseri umani, che però ci sono stati e continuano a esserci».
Anche di recente?
«Sì, nei giorni scorsi c’è stato un caso in Cambogia, è stata colpita una bambina, purtroppo deceduta dopo una settimana di malattia. Sono casi estremamente rari, nonostante ci sia un’epidemia conclamata tra gli animali, ma esistono, per quello è necessaria la massima attenzione».