Il caso

venerdì 5 Luglio, 2024

«Mettere a tacere Marco Travaglio e Selvaggia Lucarelli»: una nuova accusa per Chico Forti

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L'ex campione di surf avrebbe chiesto a un compagno di cella considerato vicino ai clan di intervenire contro i due giornalisti che lo hanno criticato aspramente al suo rientro in Italia

A meno di due mesi dal rientro in Italia dopo una condanna all’ergastolo e ventiquattro anni di carcere scontati in Florida, la vicenda di Chico Forti torna a far parlare di sé. La Procura di Verona ha infatti aperto un fascicolo per indagare sull’ex surfista, ora detenuto nel carcere di Montorio. Il trentino avrebbe, secondo le accuse, chiesto a un altro uomo rinchiuso nella stessa struttura, accusato di essere in rapporti con la ‘Ndrangheta, di «mettere a tacere» il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio e la nota giornalista e blogger Selvaggia Lucarelli. In cambio, in base alle informazioni finora disponibili, Forti avrebbe promesso un aiuto futuro, confidando nel fatto che – anche grazie alla grande notorietà acquisita negli ultimi anni e soprattutto al suo rientro in Italia in pompa magna – avrebbe presto riguadagnato la libertà. Per ora si resta nel campo delle ipotesi, anche se le autorità hanno preso sul serio la notizia abbastanza da far partire le indagini.  Tutto sarebbe nato da una confidenza da parte del detenuto che sarebbe stato contattato da Forti da parte di una persona che lavora nel carcere. La Procura ha quindi sentito tre testimoni, tra cui il detenuto stesso e un altro che avrebbe assistito all’incontro. Il fascicolo, per ora, sarebbe «contro ignoti» e il reato ipotizzato l’istigazione a delinquere.
Il giornale guidato da Marco Travaglio, e il direttore stesso, si erano espressi più volte molto duramente nei confronti dell’ex campione trentino, tanto da titolare «Benvenuto assassino» il giorno in cui Chico Forti atterrò in Italia  incontrando la calorosa accoglienza della premier Giorgia Meloni. Sulla stessa linea Lucarelli, che, sempre sul Fatto, aveva attaccato duramente i toni trionfalistici con cui la compagine di governo aveva gestito l’estradizione.