Il fatto
mercoledì 2 Ottobre, 2024
di Ottilia Morandelli
Tutto è iniziato con una testa di pecora sulla porta di casa a Dimaro. Un «souvenir», come lo hanno definito gli stessi carabinieri, lasciato fuori sullo zerbino di un noto imprenditore della val di Sole, proprietario di una ditta ortofrutticola. Poi l’incendio a un anno di distanza, il giugno scorso, che ha distrutto il bicigrill di Pellizzano. Per questi fatti, due trentini, Rosario Vicenzi di 60 anni residente in val di Sole e Pierpaolo Cumer, di 56, originario della val di Non, sono stati arrestati dai militari dell’Arma. I reati contestanti sono tentata estorsione commessa con metodo mafioso, porto abusivo di armi e incendio doloso. L’arresto del sessantenne risale a ieri mattina, quando il nucleo investigativo del comando provinciale di Trento e quello operativo del radiomobile di Cles, lo hanno fermato fuori dalla sua abitazione. L’uomo, che di mestiere fa il tatuatore, stava uscendo dal vialetto a bordo della sua moto, nel sellino, una pistola calibro 22 carica e munita di silenziatore, con matricola abrasa. Si tratta di un pregiudicato, che ha già scontato 13 anni di carcere per reati contro la persona e il patrimonio. Lui sarebbe il mandante delle operazioni in val di Non e in val di Sole, mentre il cinquantaseienne eseguiva materialmente gli ordini. Alla base del tentativo di estorsione nei confronti dell’imprenditore potrebbe esserci un movente economico. Le indagini coordinate dal procuratore capo, Sandro Raimondi, e dal sostituto, Davide Ognibene, sono partite subito dopo il ritrovamento della testa di pecora fuori dalla casa dell’imprenditore nella notte tra il 15 e il 16 giugno 2023. Un fatto spaventoso che aveva terrorizzato l’uomo, che insieme ai resti dell’animale aveva trovato anche un biglietto insanguinato, scritto in dialetto calabrese: «Questo te lo manda la famiglia che non scorda l’infamata. La prossima volta manderemo la testa di tuo figlio». Un modo per sviare i sospetti dell’imprenditore, per pensare a un attacco diretto di una «famiglia» mafiosa per rafforzare l’intidimidazione, quando in realtà si trattava di due uomini trentini. Sono iniziate immediatamente le indagini. L’uomo che aveva subito le minacce ha avvisato le forze dell’ordine. Pare si sia trattato di un tentativo di intimidazione per estorcere 150mila euro all’imprenditore che poco tempo prima, in maniera legittima, aveva acquisito con un passaggio di proprietà una baita della famiglia di origine di Vicenzi, che voleva rifarsi economicamente. I primi sospetti dei carabinieri sono iniziati la notte dell’incendio a Pellizzano. Una giovane pattuglia dei carabinieri del comando di Cles era in zona, quando per un controllo di routine hanno deciso di fermare un’auto che procedeva lentamente nel centro abitato. A bordo c’era proprio Cumer, il cinquantaseienne, era agitato hanno spiegato i militari. Era a bordo di un’auto intestata a Vicenzi, che da controlli successivi è stata identificata come una delle automobili presenti nelle vicinanze della casa dell’imprenditore a Dimaro, un anno prima, la notte in cui era stata abbandonata la testa. Una svolta è avvenuta dopo lunghi mesi di indagini, dopo aver captato conversazioni telefoniche, i carabinieri hanno deciso di effettuare una perquisizione. A casa del complice sono state trovate armi e esplosivo, fra cui una pistola semiautomatica calibro 7,65 con silenziatore, una replica di una mitragliatrice Uzi e un simulacro di fucile a tamburo, anche proiettili di vario calibro. Ieri mattina l’arresto del sessantenne, un individuo considerato particolarmente pericoloso «che poteva fuggire del Paese». «Nel corso delle intercettazioni, abbiamo appurato che parlavano addirittura di un sequestro di persona per ottenere un riscatto, e di voler usare un lanciarazzi contro i carabinieri. Ma anche della volontà di procurarsi armi da guerra e di rifarsi una vita in Spagna per sottrarsi all’eventuale arresto – ha spiegato il colonnello Matteo Ederle comandante provinciale – Siamo di fronte a due persone di un’elevata pericolosità sociale, che giravano armati con fare intimidatorio e particolarmente aggressivo. È la prima volta che succedono dei fatti simili in Trentino». Fatti che hanno creato non poco allarme sociale nelle valli. Ora le indagini continuano per capire se ci siano state anche altre persone vittime dei due uomini. Per quanto riguarda l’incendio del Bicigrill i militari stanno ancora cercando di capire quale sia stato il movente. Ora il cinquantaseienne si trova agli arresti domiciliari e il sessantenne al carcere di Spini di Gardolo. Le indagini proprio negli scorsi giorni hanno subito un’accelerazione perché i militari sono venuti a conoscenza della volontà di gambizzare una terza vittima.