L'editoriale
martedì 31 Gennaio, 2023
di Fabio Gobbato
In dialetto sudtirolese ogni tanto si sente pronunciare un modo di dire che al resto del mondo non può che suonare piuttosto antipatico: mir sein mir. Tradotto significa «noi siamo noi». La prosecuzione sottintesa può essere talvolta «e voi non siete un c….» alla Marchese del Grillo e altre volte «e ci dispiace per gli altri» alla Celentano-Mori. Puro orgoglio contadino. In Alto Adige la società è in movimento, si è modernizzata, si è diversificata al proprio interno, ma oggi c’è davvero un solo tema che mette d’accordo quasi tutti i cittadini di madrelingua tedesca. E non è il timore della destra al governo, già ampiamente sdoganata prima dal quotidiano Dolomiten e, a seguire, da tutta la Svp con l’eccezione della senatrice Julia Unterberger. No, l’argomento che unisce a occhio il 90% dei sudtirolesi (compresa Unterberger) è quello del lupo. Der Wolf.
Ma attenzione: sarebbe stupido negare che il canide non costituisca per gli allevatori un problema da affrontare e risolvere, prima o poi, anche con le cattive (se un giorno sarà il caso). Il trauma per la sua ricomparsa nei nostri boschi è sicuramente giustificato. Il fatto è che la ragione fornisce gli strumenti per superare gli choc, mentre un po’ tutti in Alto Adige sembrano aver perso completamente lucidità. Del resto l’accoppiata Dolomiten-lega dei contadini (Bauernbund) ha perfino fatto leva sul terrore fanciullesco depositato nel subconscio di tutti noi dalla storia di Cappuccetto rosso, piegando alcune statistiche internazionali per evidenziare rischi di essere «mangiati» per bambini e adulti che sono negati, in realtà, da tutti gli esperti del mondo. Tanto che qualche mese fa in val d’Ultimo due ragazze hanno scambiato dei camosci per un branco di lupi e il dirigente provinciale che ha osato dire le cose come stavano (non sono state trovate impronte sulla neve) è stato sottoposto a un linciaggio mediatico. Come osa? Non a caso i pochi «dissidenti» nel mondo di lingua tedesca, onde evitare shit storm, per prendere posizione devono quasi sempre nascondersi dietro a pseudonimi ed evitare accuratamente i social media.
L’atteggiamento mentale collettivo ricorda quello del bambino capriccioso che sbatte i piedi, si tappa le orecchie, e fa oscillare veloce la lingua tra le labbra per non sentire la mamma che gli nega il gelato. Qualunque tentativo di ragionare sulle misure difensive che si possono/devono attuare prima di pensare agli abbattimenti, è impossibile. Questo rifiuto ancestrale ad affrontare la questione con ragionevolezza porta ad inseguire un unico, irraggiungibile obiettivo: un Sudtirolo “wolfsfrei” (libero dal lupo). Perché? Le normative di tutela sono europee, i lupi purtroppo non capiscono dove inizia il territorio altoatesino, quindi perché intestardirsi? Perché sì, è la risposta, perché il lupo per cent’anni sul nostro territorio non c’è stato e quindi abbiamo il diritto di sterminarlo. Questo è il livello delle argomentazioni. In Alto Adige non si costruisce un recinto elettrificato, non si prendono pastori e cani da guardiania, sembra che non si veda l’ora che un branco assalga un gregge per poter fare la pagina di giornale con le budella in primo piano e rinfocolare le paure dei lettori. Perché, viene da chiedersi, almeno non si provano ad attuare le misure difensive che sono peraltro sovvenzionate al 100 per cento dalla Provincia di Bolzano? Perché no, perché qui “da noi” è tutto diverso. Punto. E se ci si azzarda a fare paragoni con le regioni vicine si rischia a propria volta di essere sbranati. Mir sein mir, decidiamo noi cosa fare.
Alla comparsa dei primi lupi, circa cinque anni fa, anche gli allevatori trentini hanno reagito allo stesso modo. E’ normale. L’atteggiamento di diffidenza probabilmente (ed anche comprensibilmente) è rimasto, ma anche grazie al buon lavoro svolto dagli uffici provinciali e ad un indubbio maggior grado di ragionevolezza, sulle misure di prevenzione si è iniziato a lavorare seriamente. E qualche risultato si è visto. Il Trentino si sta cioè mettendo nelle condizioni di poter gestire il problema quando arriverà il momento (perché inevitabilmente arriverà) di doverlo gestire, che è un modo gentile per dire che prima o poi anche in Italia si potranno abbattere lupi confidenti o problematici.
I fieri contadini-allevatori sudtirolesi, spalleggiati da un consenso mediatico e popolare quasi incondizionato, invece fanno passare gli anni senza muovere un dito, apparecchiando sui pascoli succulenti e abbondanti banchetti di pecore totalmente incustodite e non protette. A dirlo non è chi scrive, ma lo stesso assessore all’agricoltura, il quale, rispondendo ad un’interrogazione del verde Riccardo Dello Sbarba, ha spiegato che «le due richieste di prelievo ad oggi sono state rigettate, perché carenti di motivazione, in particolare l’assenza di qualunque forma di opera di prevenzione e l’assenza di un buono stato di conservazione della popolazione di lupi». E visto che il numero dei lupi è destinato a crescere fino al momento in cui non ci sarà da temere per l’estinzione della specie, in Alto Adige, per poter procedere agli abbattimenti, mancherà sempre il primo requisito. Ma niente. Non c’è verso di cambiare rotta. Addirittura si finge che i recinti elettrificati non funzionino scambiandoli con i fili elettrici installati da decenni per contenere il bestiame.
E’ vero: in Alto Adige le greggi sono numericamente più piccole rispetto alle altre zone alpine, ed è quindi meno «economico», ma forse, più che altro, è più scomodo attuare le misure di protezione. I contadini sudtirolesi, però, da decenni hanno imbastito un sistema di cooperazione nel settore agricolo che è un vero modello in Europa. Perché non provare ad applicarlo al settore zootecnico? La domanda, come tutte le altre, è destinata a restare senza risposta. L’obiettivo sembra essere solo quello di continuare ad incassare i contributi europei per pascoli e malghe (che non sono per nulla ingenti, va detto, servono per arrotondare) senza fare nulla di diverso rispetto a quello che si è fatto negli ultimi 30-40 anni. Anzi, una cosa si fa: in consiglio provinciale si approvano mozioni per l’abbattimento dei lupi che sono del tutto inapplicabili, un po’ come quando i portieri forzano il tuffo per i fotografi. E giù applausi.
In Alto Adige si sono buttati gli ultimi cinque anni inseguendo l’idea che l’Unione europea dovrà piegarsi alle ragioni dei contadini sudtirolesi. Non fare nulla sul piano della prevenzione – osservava un paio di mesi fa il giornalista-naturalista Mauro Fattor in un’intervista – significa educare generazioni di lupi a predare preferenzialmente, se non esclusivamente, animali domestici. Un errore imperdonabile. Il lupo è un animale estremamente intelligente e come tutti i predatori ragiona secondo un banalissimo principio di bilancio energetico: massimo risultato col minimo sforzo. Se l’allevatore non fa nulla per difendere le proprie greggi, il lupo si abituerà a fare rifornimento in questa sorta di ristoranti all’aperto che sono gli alpeggi altoatesini. Se non ci sono cani da guardiania, pastori, recinzioni elettrificate di protezione, per quale motivo un lupo dovrebbe darsi da fare per predare un cervo o un capriolo?. Quindi in realtà l’inazione rischia davvero di rendere i lupi molto più pericolosi di quanto lo siano naturalmente. Ma poco importa, mir sein mir, e presto o tardi potremo tirare fuori le doppiette.
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