Il fatto
giovedì 7 Dicembre, 2023
di Davide Orsato
Dopo tre anni e dopo tre richieste di imputazione la Procura di Trento sarà «costretta» a inviare a giudizio tre responsabili degli impianti di Madonna di Campiglio. Il caso risale al febbraio del 2020 quando, a seguito di un’uscita di pista ad altissima velocità, morì la giovanissima sciatrice marchigiana Cristina Cesari, di soli 25 anni. La decisione è arrivata dal giudice per le indagini preliminari Enrico Borrelli che ha optato per l’«imputazione coatta». Ciò significa che è il giudice a ordinare alla Procura il rinvio a giudizio degli indagati. Indagati iscritti per ben tre volte nel registro senza alcun esito processuale. Si tratta di Francesco Bosco, il «signore della neve», allora direttore delle Funivie Madonna di Campiglio, di Sergio Collini, presidente delle stesse funivie e di Mauro Maffei, il responsabile della sicurezza. L’ipotesi di reato è l’omicidio colposo, per la supposta carenza di sicurezza all’interno della pista, che altro non è la «Nube d’oro», la «nera» aperta nel 2010.
La battaglia legale che ha preso il via dopo la tragica fine della ragazza finora è andata avanti in modo «sotterraneo», senza che mai si facesse strada il processo, ma sempre con la famiglia della vittima convinta «ad andare fino in fondo». I familiari di Cristina Cesari, assistiti dall’avvocato Flavio Moccia di Bolzano, sono convinti che le misure di protezioni, in particolare la rete laterale e le segnalazioni non fossero adeguate ad evitare l’incidente. Opposta la linea difensiva dei tre futuri imputati: tutte le regole sono state seguite e nessuna anomalia sarebbe sorta nemmeno a seguito dei rilievi eseguiti dai carabinieri dopo l’incidente.
Quel giorno, il 13 febbraio 2020, Cristina Cesari stava percorrendo la «Nube d’oro»: giunta a un tratto con due curve in rapide successione ha visto, sulla sua traiettoria un altro sciatore, per evitare l’impatto ha deviato verso l’esterno della pista, uscendo dal tracciato e finendo a terra dopo un volo di sei metri. L’intera dinamica è stata ripresa da una telecamera posizionata su un pilone della pista: la ragazza è andata in arresto cardiaco ed è morta in ospedale. Escluso il coinvolgimento di altre persone, si tratta di chiarire la responsabilità dei gestori della pista, gli unici che possono essere, a questo punto, chiamati in causa. L’ex direttore Bosco è andato in pensione pochi mesi dopo l’incidente, a maggio del 2020 e, in quei giorni era infortunato, assente dai lavori. «Tutto quello che posso dire — il suo commento — è che sono state seguite le procedure di legge per aprire la pista». Dello stesso avviso la difesa dell’addetto alla sicurezza, affidata all’avvocato Nicola Stolfi, che sottolinea come il tracciato «non risulti avere nulla di particolarmente pericoloso» per le caratteristiche di una pista nera. Ambienti vicini alla famiglia, invece, sottolineano l’anomalia con cui «si è giunti alla richiesta di giudizio» dopo ben tre tentativi di archiviazione andati a vuoto.