L'avversario
martedì 13 Giugno, 2023
di Donatello Baldo
Marco Boato, eletto in Parlamento a partire dal 1979, non si presentò in quel 1994 quando vinse per la prima volta Berlusconi: «Purtroppo, per il mio garantismo, nel 1994 non venni ricandidato dai Progressisti dell’epoca, che erano convinti di vincere facilmente le elezioni a causa del vuoto provocato nel sistema dei partiti dalle inchieste di Tangentopoli».
Quel vuoto fu colmato dalla prima “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, che vinse inaspettatamente quelle elezioni con Lega e Msi.
«Durò poco, perché presto la Lega si dissociò e subentrò il Governo Dini, anche a seguito della prima comunicazione giudiziaria che Berlusconi ricevette dalla Procura di Milano, la prima di molte. Ma Berlusconi, prima dell’impegno politico, aveva già cominciato a trasformare la società italiana con le sue televisioni, improntate al consumismo e a pseudo-valori individualistici».
Lei, rientrato poi in Parlamento nella legislatura 1996, ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito sulle riforme. Si confrontò direttamente con Berlusconi?
«Quando tornai alla Camera con l’Ulivo di Prodi entrai per i Verdi a far parte della Commissione bicamerale sulle riforme costituzionali presieduta da Massimo D’Alema, dove venne a confrontarsi con me anche Silvio Berlusconi. In quella fase, espresse grande attenzione per le mie proposte di riforma e si stabilì un clima di rispetto reciproco. Poi però Berlusconi “rovesciò il tavolo”, e anche quella Bicamerale interruppe i propri lavori. Subito dopo riuscimmo a recuperare parte del mio lavoro con l’ampia riforma dell’articolo 111 della Costituzione, introducendo la costituzionalizzazione dei princìpi del “giusto processo”. Quella specifica riforma, nel 1999, fu approvata anche dal centro-destra di Berlusconi».
E umanamente, che rapporto ha avuto con l’ex premier? Qualche aneddoto?
«Non ho mai avuto rapporti molto stretti con Berlusconi, al di là del rispetto reciproco da posizioni opposte. Un aneddoto sul piano umano lo posso ricordare. Nel 2001 Berlusconi vinse ampiamente, io fui eletto presidente del Gruppo misto della Camera, e in quella veste mi convocò per le consultazioni. Mia madre era morta tre anni prima, e io avevo mandato a tutti coloro che mi avevano espresso le condoglianze un ampio opuscolo in sua memoria: a tutti, anche a Berlusconi. Il quale iniziò il colloquio, che doveva essere politico, proprio ricordando quell’opuscolo di tre anni prima: “L’ho letto allora integralmente alla mia anziana mamma, che si commosse”. La cosa ovviamente mi colpì e lo ringraziai. Solo dopo passammo a discutere di politica, assicurando da parte mia un’opposizione rigorosa, ma leale, senza cedere al giustizialismo che imperava. E così fu».
Quanto peseranno le ombre delle vicende giudiziarie su tutta la vita imprenditoriale, politica e istituzionale di Berlusconi?
«Io ho sempre combattuto Berlusconi sul piano delle idee, della cultura politica e delle proposte alternative, anche se non mi sono mai occupato direttamente delle sue vicende giudiziarie, alcune anche risoltesi positivamente, altre no. Ma ora la morte chiude definitivamente questo controverso capitolo della storia italiana».
La destra di Berlusconi era una destra diversa da quella attuale. Com’era?
«Berlusconi era partito con l’idea di costruire una “partito liberale di massa”, improntato anche ad un feroce anticomunismo ormai fuori dalla storia europea. Molti degli intellettuali di matrice liberale, alcuni dei quali con un lontano passato comunista e che lo avevano affiancato all’inizio, lo hanno via via abbandonato, delusi dal fallimento del progetto originario. Il paradosso è che, dopo aver sostenuto Draghi, Berlusconi si è ritrovato totalmente ridimensionato dall’esplosione della destra estrema di Giorgia Meloni, della quale è rimasto comunque alleato in posizione subalterna e minoritaria. La morte lo ha colpito in questa fase declinante, e penso sia molto difficile che il suo progetto possa ora essere rilanciato. La sua morte chiude davvero un’era nella storia politica italiana».