Il ricordo

venerdì 20 Dicembre, 2024

Morto Salvatore La Rocca, il poliziotto gentile che arrestò Mesina

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Coordinò numerose indagini durante gli anni da capo della Squadra Mobile della Questura di Trento. Domani alle 11 il funerale al cimitero di Trento

L’abbiamo visto piangere accanto al cadavere del maresciallo Francesco Massarelli, nel pomeriggio di un tragico 27 settembre 1977. Ucciso con un colpo in fronte dai banditi in fuga (Sergio Settimo e Daniele Lattanzio) dopo una rapina alla Banca Nazionale del Lavoro di via San Pietro a Trento. Altri due rapinatori (Levrone e Virdò) furono uccisi nel corso del conflitto a fuoco con i due poliziotti che facevano parte della pattuglia arrivata poco prima davanti alla chiesa di San Pietro. Inginocchiato accanto al cadavere del «suo» collaboratore, il capo della squadra mobile della Questura di Trento, il dottor Salvatore La Rocca, piangeva.
Oggi la sua squadra, i suoi uomini ormai in pensione, a cominciare dal Commissario Marcello Manganiello, piangono lui, che se ne è andato nella notte di ieri nell’hospice di Mori dov’era ricoverato da qualche giorno. E lo piange la moglie, Alma Maria Pedron, da Mezzocorona, già vice Prefetto presso il Commissariato di Trento, raffinata pittrice, che lo ha accompagnato dolcemente nell’ultimo viaggio ostacolato dalla malattia.
Salvatore La Rocca aveva 83 anni, essendo nato a Bressanone il 10 luglio 1941 ed è stato uno straordinario funzionario al servizio della collettività, una persona davvero perbene. Lo ricordano ancora a San Candido dove, lui perfetto bilingue, aveva cominciato il suo percorso da funzionario civile nella polizia di Stato. Per la sua capacità, la sua pacatezza, i suoi modi garbati, avrebbe potuto diventare Questore molto presto. Ma Salvatore La Rocca non aveva mai voluto trasferirsi da Trento dove era amato e stimato. Per tale ragione andò in pensione (1998) come Vicequestore vicario.
Coordinò numerose indagini su fatti di cronaca, anche cruenti, accaduti negli anni del suo servizio quale capo della Squadra Mobile della Questura di Trento. Il suo nome resta legato soprattutto all’arresto del bandito sardo Graziano Mesina il quale, dopo una rocambolesca fuga dal carcere di Lecce si era rintanato in un appartamento a Caldonazzo. Vi era arrivato dopo un anno di latitanza, inseguito da polizia e carabinieri di mezza Italia. Accadde il 16 marzo 1977. Il giorno precedente, alla Squadra Mobile della Questura di Trento una voce anonima aveva segnalato, al telefono, movimenti inconsueti attorno a un’abitazione sul lago di Caldonazzo. Erano gli anni del terrorismo che insanguinava l’Italia. Esattamente un anno dopo, le Brigate Rosse avrebbero «firmato» la strage di via Fani a Roma e il rapimento di Aldo Moro, presidente nazionale della Dc.
Il dottor La Rocca lasciò la Questura di piazza Mostra, a Trento, e con alcuni uomini arrivò a Caldonazzo. Dopo un appostamento attorno alla palazzina dell’Itea dov’erano stati segnalati tre sconosciuti, La Rocca decise l’irruzione: «Aprite, Polizia». Dietro la porta si udì un armeggiare. I poliziotti si appostarono ma improvvisamente la porta si aprì. Un omino con le mani alzate e due complici riconosciuti poi come Virgilio Floris e Mario Pais, altri pezzi da novanta della delinquenza degli anni Settanta. Sparse su un letto sfatto: bombe a mano, armi, munizioni in quantità e un pacco di mazzette di denaro equivalenti a qualche milione di lire.
Alla richiesta di declinare le proprie generalità l’uomo che aveva aperto la porta non rispose. Inavvertitamente, gli cadde il parrucchino e La Rocca lo riconobbe da una foto segnaletica dei latitanti che aveva sulla scrivania nel proprio ufficio. «Ma tu sei Graziano Mesina», esclamò. L’uomo annuì. Portato a Trento fu convocata dal magistrato di turno una conferenza stampa. Il Telegiornale nazionale delle 13 diede la notizia in apertura. Pochi giorni dopo, il Tribunale di Trento condannò «Grazianeddu» a 20 anni e mesi 6 di reclusione (per le armi, per il bottino frutto di un sequestro di persona, per l’ennesima evasione). Graziato nel 2004 dal presidente della Repubblica Ciampi, dopo che aveva scontato 40 anni di prigione, 11 agli arresti domiciliari e 5 anni da latitante, Graziano Mesina fu nuovamente arrestato nel 2013 con l’accusa di traffico di droga. Condannato ad altri 30 anni di carcere, poi ridotti a 24, nuovamente latitante, il 18 dicembre 2021 fu arrestato e riportato in prigione. Chissà se in carcere qualcuno gli dirà che a Trento se ne è andato il poliziotto gentiluomo che il 16 marzo di 47 anni fa pose fine, temporanea, alla sua ennesima vita da latitante.
Scorrono queste immagini nella memoria dei vecchi cronisti che domani, alle 11, al cimitero di Trento, assieme ai colleghi di un tempo e agli amici di una vita accarezzeranno il suo ricordo.