L'intervista
giovedì 13 Giugno, 2024
di Lorenzo Fabiano
È nata una stella. Obiezione: abbiamo «scoperto» una stella. Obiezione accolta, perché due medaglie d’oro e due record italiani non piovono dal cielo così e cosà, ma sono il frutto di anni di lavoro, sacrificio e dedizione. La prima regola di ogni sportivo che si rispetti. Nadia Battocletti ha messo in cornice il suo Europeo con l’oro nei 5.000 e l’oro nei 10.000 per una doppietta che rimarrà nella storia dell’atletica italiana. Mai nessuna donna azzurra era riuscita a fare altrettanto prima di lei in una rassegna continentale: ci erano riusciti Pietro Mennea (100 metri e 200 a Praga 1978) e Salvatore «Totò» Antibo (5000 e 10.000, proprio come Nadia, a Spalato 1990), ma una donna mai. Ma c’è di più: dallo schermo della televisione è entrata nelle case degli italiani una ragazza che con il suo garbo e il suo stile ha davvero conquistato tutti. Gli italiani hanno scoperto chi è Nadia Battocletti, una grande atleta e va bene, ma soprattutto una bella persona: «È una cosa che mi rende molto felice. È semplicemente bellissimo», ribatte lei con la voce strozzata dall’emozione.
Nadia, ma si rende conto di cosa ha fatto? Non mi dica che si aspettava di fare questa doppietta d’oro.
«No, non me lo aspettavo. Il mio obiettivo erano i 5.000 metri, ma addirittura la doppietta… quello no. A questi Europei sono arrivata per mettere in pista tutto il lavoro che avevo fatto in allenamento. È andata come meglio non si poteva e sono felicissima».
Quanto le è servita la batosta ai mondiali di Budapest di un anno fa?
«Secondo me è stata fondamentale. Senza Budapest, non sarebbe arrivato il record italiano nella 5 km ai mondiali di corsa su strada a Riga, né l’argento agli Europei di Cross a Bruxelles. La delusione ai mondiali di Budapest mi ha aiutata a fare un salto di qualità: si impara molto di più dalle sconfitte che dalle vittorie».
Nei 5.000 aveva messo lo freccia negli ultimi 200 metri, nei 10.000 mordeva il freno ed è partita prima: cambio di tattica?
«Ho fatto un paio di cambi di ritmo in corso di gara, perché volevo tenere le frequenze alte; poi ho deciso di andare via in progressione, anche perché ci stavamo aprendo a ventaglio per impostare la volata».
Le avversarie che temeva di più?
«L’inglese Keith, l’olandese Van Es e la slovena Lukan. E infatti la gara me la sono giocata con loro».
L’altra inglese molto attesa era Elish Mc Cogan, ma è crollata. Se lo aspettava?
«Lei è appena rientrata alle gare da un infortunio, sapevo che non poteva essere tanto in forma».
E lei ai Giochi di Parigi, ora con che spirito va?
«Bella carica, motivata e con un bel po’ di adrenalina. So che sarà più difficile e che, come del resto sostiene mio padre, la mia piena maturità di atleta arriverà tra un paio di anni. A Parigi vado con la stessa convinzione che avevo a Roma, con la stessa fiducia in me stessa e con la stessa consapevolezza della bontà del lavoro che abbiamo fatto».
La vedremo sia nei 5.000 che nei 5.000?
«Nei 5.000 sicuramente sì, nei 10.000 vedremo».
E i 1.500, accantonati per ora?
«Per il momento sì».
Figlia d’arte: mamma mezzofondista, papà mezzofondista e maratoneta…
«A casa anche il cane correva (ride). Roger, il labrador retriever che ci ha lasciati lo scorso anno».
Non è difficile indovinare… Roger come Federer?
«Eh sì, il mio idolo».
Al di là dei suoi genitori, come è nata la sua decisione di dedicarsi all’atletica?
«Una scelta libera e presa in leggerezza. Sin da bambina mi piaceva correre, a scuola facevamo le garette e alla fine ho deciso di concentrarmi sempre di più sull’atletica».
Come si sdoppia suo padre Giuliano nel doppio ruolo di papà-allenatore?
«Nel nostro abbraccio a Roma direi che c’è tutto. Lui è giusto, corretto, severo quando serve e tranquillo quando serve. È molto professionale, uno sguardo e ci capiamo al volo. Lui intuisce subito quando per motivi di studio ho una giornata difficile».
Lui è contento del suo percorso accademico, ma dice anche che finché studia non può allenarsi come una vera professionista. È d’accordo?
«Lo studio è importante. È motivo di stress, ma è anche una valvola di sfogo. Bisogna essere bravi a bilanciare le due cose».
Quanto le manca per laurearsi in Architettura?
«Cinque esami, uno da verbalizzare e quindi la tesi. A settembre dovrò seguire un corso».
Lei è una degli atleti che fanno parte del programma TOPSport all’Università di Trento.
«Sì, ma non ne usufruito tantissimo, perché ho l’obbligo di frequenza e devo quindi essere presente alle lezioni in aula. È un programma molto utile, che ad esempio ti permette di posticipare un esame in accordo col tuo professore, se in quello stesso giorno hai una gara. Un bell’aiuto e un passo in avanti nel combinare sport e studio».
Che le ha detto il Presidente della Repubblica Mattarella?
«Era molto felice, sono rimasta colpita dal suo sorriso. Si è congratulato. È stato molto bello vederlo in tribuna ad assistere alle nostre gare».
Avete fatto incetta di medaglie, siete la squadra italiana più forte di sempre: se lo aspettava un successo simile?
«La squadra italiana è forte e ognuno di noi arriva a questi appuntamenti al massimo della forma. Speravamo di raccogliere tante medaglie».
Martedì sera lo Stadio Olimpico era tutto per lei e Gimbo Tamberi. Diciamo che avete due stili diversi di festeggiate, lei è un po’ più sobria…
«Eh sì, diciamo di sì (ride di nuovo)».
Adesso qual è la road map di preparazione per Parigi?
«Raduno all’altopiano di Asiago, poi farò campionati italiani a fine mese. Torno quindi ad Asiago per poi scendere e andare a Montecarlo per la Diamond League dove farò i 5.000 metri. Quindi si va dritti a Parigi».
Dalla nazionale di atletica arriva un bel segnale di apertura al Paese: tanti ragazzi italiani di seconda generazione; tanti ragazzi nati altrove ma cresciuti qui. Segno di un Paese che cresce e si evolve, non crede?
«Assolutamente. Di sicuro è davvero un segnale molto importante. Conosco le storie di tanti ragazzi e tante ragazze, e significa anche che dietro ci sono delle famiglie che spingono i loro figli a fare sport. Se abbiamo le infrastrutture necessarie, poi un po’ alla volta con la dedizione e il sacrificio i risultati arrivano».
Suo padre ha lamentato qualche commento non proprio carino nei suoi confronti di qualche inutile idiota razzista. Lei che dice?
«Io leggo solo i commenti buoni, quelli cattivi non li leggo. Ci sono tante tipologie di persone al mondo, anche quelle sciocche per così dire. La mia volontà è quella di circondarmi di persone buone, delle altre non mi curo».
Gli stolti ci saranno sempre. Magari col tempo, anche grazie ai vostri successi, ce ne saranno di meno.
«Speriamo».
Grazie per averci regalato queste notti magiche sotto il cielo di Roma, Nadia.
«Ma grazie a voi! Sono davvero molto felice».
l'intervista
di Davide Orsato
L’analisi del giornalista che ha di recente pubblicato un manuale per spin doctors dal titolo «Non difenderti, attacca» e contiene 50 regole per una comunicazione politica (imprevedibile e quindi efficace)