L'intervista
venerdì 1 Dicembre, 2023
di Davide Orsato
«Tu da che parte stai?» Pochi secondi dall’avvio del nuovo album e l’ascoltatore è già interrogato. Gli si chiede di prendere posizione. È vero che nell’era delle piattaforme la posizione del brano ha il peso che ha, ma è anche vero che Outsider, il nuovo album di Nitro fa di tutto per sembrare un manifesto fin dall’inizio. Non ideologico, ma esistenziale: una rivendicazione di integrità ma senza la paura di «sporcarsi», di «contaminarsi». Purché anche quella sia una scelta consapevole. Anche il rapper vicentino (in realtà originario di Dolo, riviera del Brenta), al secolo Nicola Albera, al pari di molti «colleghi» è stato tirato per la giacchetta, nel tentativo di incasellarlo: «purista» o «mainstream»? La risposta, forse è il titolo dell’album. E se non basta ecco che si dice in un altro brano, In Heaven: «Per due pezzi pop ora son pop, pensa che palle / Se di me sai il pop, è perché, bro, sei di quel target». Insomma, una riflessione sulla cultura hip hop, tenendo sempre sott’occhio quelle strade dove il genere è nato e continua a perpetrarsi. Un approccio che non può non essere apprezzato a Trento, dove la scena è ancora viva: Nitro si esibirà al Sanbàpolis la settimana prossima, giovedì 7 dicembre: sarà la quarta data di un tour che inizia oggi a pochi chilometri di distanza, a Bassano del Grappa.
Nuovo disco e nuovo tour. Che cosa aspetterà il pubblico trentino?
«Per la prima volta ci sarà una grande band con me. Chi viene ai miei concerti è già abituato a una discreta potenza di fuoco. Adesso potremo spingere ancora di più. E oltre ai brani del nuovo disco rifarò molte cose del decennio precedente, in un formato completamente nuovo. Penso che questa formula piacerà anche agli amanti di generi come nu-metal, del rock più duro, del blues…».
Il titolo, «Outsider», è una rivendicazione?
«Se lo è, lo è in modo solo: voglio distinguermi. Ogni scelta che faccio è mia e non riuscirei a comportarmi diversamente».
Quali sono le conseguenze sulle scelte musicali?
«Essere outsider vuol dire non sottostare né alle regole del mainstream né a quelle del genere. Un pezzo può nascere in molti modi, assumere diverse forme. Ma deve essere sempre sentito. Più si va avanti, e vale in particolare per me che ho iniziato molto giovane (Nitro ora ha 31 anni, è sulla scena da quando ne aveva 14 e ha pubblicato il primo disco a vent’anni, ndr) è difficile sembrare originali, soprattutto se si mantiene una certa coerenza».
In questo tour ci sono i brani del nuovo album, ma c’è anche «Too late», il duetto con Madame. È a prima volta che si farà dal vivo, anche se mancherà la controparte…
«Stiamo avendo delle difficoltà a incastrare le date, ma io conto di poterla eseguire insieme sul palco fra non molto».
Il testo ha il coraggio di affrontare stati d’animo cupi. Io ci ho visto, sullo sfondo, la storia di una relazione tossica: come mai la scelta di raccontare ciò?
«È una canzone che parla del tempo che passa, anche per questo è dominata dall’ansia e dalle scelte, a volte sbagliate, che questa ci spinge a fare. È un brano notturno, nato dai miei pensieri, dalle mie insicurezze, quando mi metto a scrivere. Parlando di errori, parla anche di quelli che si possono commettere stando con un’altra persona. Ma una relazione non diventa tossica solo perché si sbaglia».
L’hip hop italiano parla moltissimo di rapporti personali. Lo fa senza peli sulla lingua. E anche per questo quando c’è un fatto di cronaca grave, un femminicidio, finisce sul banco degli imputati…
«È un copione che si rivede spesso. Ogni volta invece di individuare la causa del male che ci circonda si va alla ricerca di un capro espiatorio. È ridicolo annullare concerti per brani scritti sette anni fa (il riferimento è a quello di Emis Killa, cancellato a Ladispoli per una canzone che parla di staking, ndr). Sembra di assistere agli stessi argomenti che si facevano contro i videogiochi tanti anni fa. Con che risultati?»
Sette anni fa, per l’appunto. Allora il rap era più cattivo?
«C’è stato un periodo in cui i rapper facevano volutamente contenuti oltre il limite. In Italia parliamo del 2008 – 2009. C’è un motivo: le radio ignoravano il nostro mondo, non ci passavano le canzoni. Questo è stato interpretato come un via libera, si pensava di poter insultare tutti. Ma era una violenza finta, iperbolica. Il rap è un film di Tarantino, non la realtà».
È un dato di fatto che viviamo in un’epoca un po’ rabbiosa: lo racconta anche la canzone che apre l’album, Control, in cui si prendono le liti sui social.
«I social hann portato a un individualismo di massa, la violenza diventa violenza contro l’individuo. E i testi hip hop ne risentono. Si fa più fatica a gridare l’ingiustizia sociale. Anche perché come lo potrebbe fare un cantante che magari ha il culo posizionato su un jet privato?.
Lei lo prenderebbe un jet privato?
«Anche potendo no. Inquina, e l’aria è di tutti, non solo di chi ha i soldi».
L’hip hop sembra aver trovato un terreno fertile nel Nord Est. È forse perché ha una chiave per raccontare questo territorio?
«Sì, il Veneto in cui sono nato e cresciuto, in particolare, nasconde anche molte storie di strade. Si potrebbe rappare su storie di criminalità, volendo. Ma l’hip hop riesce benissimo a raccontare anche la noia della provincia. Quella noia che porta i ragazzi a bere, sempre di più e sempre prima. Quella noia che rovina le relazione e che porta al record di divorzi in Italia. Preferisco raccontare questo».
La scena trentina è in forma?
«Direi proprio di sì. Ci sono molti artisti di Trento che conosco e apprezzo. Penso a Drimer, ad Ares Adami. E ce ne sarà uno che aprirà il concerto a Trento. Ma sarà una sorpresa».