La storia
domenica 14 Aprile, 2024
di Alberto Folgheraiter
Se l’amore è una malattia, galeotto fu il secondo lock-down del Covid-19. Lei, Noemi Somenzi, una bella ragazza di Cremona, liutaia per studi e professione, figlia d’arte di un papà liutaio, una sera di cinque anni fa s’era perdutamente innamorata, a Mantova, di un giovanotto di San Lorenzo-Dorsino, specializzato in meccatronica. Impossibilitati a frequentarsi a causa della pandemia, dopo un anno di sospiri e struggimenti al telefono, Luca e Noemi hanno deciso di trasferirsi, liuti e bagagli, a Ranzo in un appartamentino vicino al nonno di lui. Che sarà pure il luogo più bello del mondo per chi ci è nato, splendido villaggio isolato sulla sella, tra il Gaza e il Daìn Picol, sopra le forre del Limarò dove scorre la Sarca, tra i terrazzamenti del Banale e la valle dei Laghi. Ma il villaggio, alpestre e solitario, sorge alla fine della strada che fu scavata, erta e stretta, nella roccia e fu conclusa solo nel 1957. Prima di allora la popolazione era costretta a scendere nella piana di Toblino lungo le mulattiere dello Scal e del rio de la Val. La strada di collegamento con Nembia e Molveno, promessa a ogni campagna elettorale. è ancora lì, interrotta, poco oltre l’abitato. Resistono il negozio della Famiglia Cooperativa e il Bar Parisi, e non è poco per i 401 abitanti della frazione di Valle Laghi.
L’acqua corrente arrivò nelle abitazioni giusto settant’anni fa: il 10 aprile 1954. E quando, alle 20.30 della sera, sgorgò nel lavandino di casa, furono suonate le campane a stormo e nella parrocchiale di S. Nicolò (XV secolo) si cantò il Te Deum.
Ecco il villaggio dove ha scelto di vivere, almeno per il momento, la giovane liutaia di Cremona. Della cui professione, da queste parti, nessuno sa nulla. Soltanto al bar, dove si fanno gli affari di tutti, un avventore ha sciorinato come una giaculatoria gli ascendenti del “morós de quéla putèla che la stà gió sota la ciésa”. Capito? Mica tanto. Ma ha avuto la brillante idea di accompagnarci fin sulla porta di casa di Noemi Somenzi.
Codesta è la vita e il bello dei paesi. Ed è ciò che ha fatto innamorare la “putèla” di Cremona, oltre naturalmente al suo compagno. «Io vivevo già in una casa isolata, in provincia di Cremona, pertanto l’isolamento non mi disturba, anzi».
A Cremona, dove «mi sono divertita tantissimo», racconta, «ho fatto la scuola internazionale di liuteria. Nel frattempo lavoravo nel laboratorio con mio papà, Davide, che fa il liutaio da sempre. E questo mi ha aiutata molto, anche perché papà sia pure molto tenero è anche esigente».
Poiché la scuola di Cremona è celebre nel mondo, Noemi era l’unica italiana della sua classe e una delle poche ragazze che seguivano i corsi di liuteria. «L’unica femmina, la più giovane».
Non è una violinista, anche se sa suonare. Per verificare se un violino è riuscito a regola d’arte si affida a dei professionisti. Il loro giudizio è implacabile. Sul suono e le vibrazioni, perché sull’estetica sono più pignoli i commercianti. «Per costruire un buon violino seguiamo le regole imparate a scuola, io anche i consigli di mio papà. Quando lo strumento è finito c’è sempre la sorpresa. So che suonerà ma il timbro deve piacere al musicista».
Il suono dipende da molti elementi: dal legno, dalla stagionatura, dalla vernice, dalle colle animali, dal montaggio. Lavorando dieci ore al giorno, Noemi Somenzi impiega circa due mesi per costruire un violino. Pertanto il valore commerciale è piuttosto elevato: «Per una ragazza giovane come me: alcune migliaia di euro».
Vuol dire che una liutaia più anziana costa di più?
«Pare un assurdo ma è così. Del resto, nel corso della carriera, un liutaio migliora, progredisce, studia, diventa una firma. Un po’ come nelle altre professioni. Mio papà, per esempio, non è lo stesso liutaio di vent’anni fa».
Un violino è come un figlio?
«Sì, proprio così. Ogni volta che ne vendo uno, piango».
Quanti “figli” ha venduto finora?
«Un bel po’ perché sono otto anni che faccio questo mestiere, ma non li ho contati».
E dove sono finiti?
«Sono finiti quasi tutti in Asia perché in Cina, Giappone e Corea i bambini vanno a scuola di musica fin da piccolissimi. In quei Paesi c’è un mercato incredibile di strumenti ad arco. Però ho anche qualche violino in Europa, soprattutto in Germania. Adesso ne sto preparando uno per l’Australia».
Ci sono viole, violini o violoncelli usciti dalla sua bottega suonati in grandi orchestre?
«Che io sappia sono finiti in alcune importanti orchestre cinesi».
Noemi racconta che è andata in Germania per imparare a restaurare gli archi, gli archetti e pure a incrinarli; dice di avere un buon rapporto con gli studenti del Conservatorio di Trento. A Ranzo, dice si trova bene. Certo il problema è legato alla scomodità dei collegamenti. Ci sono suoi clienti che hanno paura della strada, un balcone a precipizio sulla valle dei Laghi: «Arrivano tutti sudati per le vertigini».
Ma se Maometto non va alla montagna, ogni due o tre settimane scende lei a Cremona. Dove vivono i genitori, un fratello e una sorella, e dove confluiscono i potenziali clienti dal sud-est asiatico. E poi ci sono le fiere d’autunno, i concorsi ai quali Noemi da Cremona finita a Ranzo per amore ha deciso di iscriversi. Si racconta che Antonio Stradivari, celebre liutaio cremonese privilegiasse l’abete di risonanza delle foreste di Paneveggio, in val di Fiemme. Magari è solo una fòla. Quel che è certo che la giovane liutaia cremonese le tavole d’abete per i suoi strumenti le acquista proprio in val di Fiemme.
Foto Federico Nardelli
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