L'INTERVISTA
giovedì 16 Novembre, 2023
di Lorenzo Fabiano
«L’incontro con questa cucina non è un pasto, ma un’indimenticabile esperienza umana», scrisse di lui a suo tempo la Guida Michelin. E di stelle sulla sacra scrittura dell’alta ristorazione ne ha messe insieme una costellazione, Norbert Niederkofler, rinomatissimo chef altoatesino della Val Aurina: tre stelle Michelin le aveva già al «St. Hubertus», il ristorante di San Cassiano, in Alta Badia, che aveva chiuso lo scorso marzo per lanciarsi anima e cuore in una nuova avventura a casa sua, a Brunico all’Atelier Moessmer, ex villa padronale di una fabbrica tessile che lui e il suo gruppo di collaboratori hanno reso un santuario del gusto. Il risultato? Martedì al buon Norbert, a soli quattro mesi dall’apertura, alla cerimonia di Brescia di stelle Michelin gliene hanno consegnate altre tre. Se Messi colleziona palloni d’oro, quest’omone altoatesino di cuore e vedute ampie non è certo di meno.
Niederkofler, a questo punto con uno come lei bisogna scomodare Giacomo Puccini: «E lucevan le stelle», è proprio il caso di dire…
«Eh già…(ride, ndr) la notte della premiazione a Brescia devo dire di aver dormito poco, ma molto bene. È un traguardo incredibile: non credo sia mai successo al mondo che qualcuno con tre stelle chiuda e ne prenda altre tre nel nuovo ristorante aperto appena da quattro mesi. Merito di una grande squadra e di un grande team, se è arrivato questo successo».
In più ha anche ricevuto anche una stella Michelin verde per la sostenibilità a «Horto», il ristorante milanese con la selezione di prodotti da cascine, caseifici e agricoltori a non più di un’ora di distanza. Come Head Chef ha un suo allievo, Alberto Toè: altra gran soddisfazione, no?
«Assolutamente. Ma un’altra gran soddisfazione è stato vedere tra gli stellati a Brescia cinque ragazzi che si sono formati da noi: Alberto Toè per l’appunto, e poi Ariel Hagen, Terry Giacomello, Michele Lazzarini e Matteo Metullio. È un gran messaggio per il futuro e una gratificazione per il lavoro che abbiamo fatto».
Racconti un po’ dei lei: come ha iniziato questo percorso?
«A 17 anni: dopo la scuola commerciale in Alto Adige, ho fatto l’istituto alberghiero in Germania. Sono quindi partito facendo esperienza in giro per il mondo, a Londra, Zurigo, Milano, Monaco e New York. Sono poi rientrato quasi per caso quando avevo 34 anni (sposato e padre di due bambini, Niederkofler è un classe ’61, ndr); ho lavorato prima a Ciastel Colz per poi approdare al St. Hubertus a San Cassiano in Badia. Il mondo lo giro ancora per conoscere culture diverse e studiare metodi e processi. Qui abbiamo fondato una fabbrica di pensieri dove possiamo formare i giovani talenti per il futuro».
Si descriva, che tipo è Norbert Niederkofler?
«Sia al ristorante che fuori diciamo che sono uno che sa cosa vuol fare e lo vuol fare senza togliere niente a nessuno».
Com’è stato il passaggio dal St Hubertus all’Atelier Moessmer?
«Complicato, non era affatto facile. La cosa che mi rende più felice è di aver mantenuto intatta la nostra squadra da un posto all’altro; sono rimasti due pilastri, Mauro Siega in cucina, e Lukas Gerges in sala. Da sette anni sono con me, queste son le cose più belle e importanti. Il merito di questi riconoscimenti non è mio, ma di un gruppo. Basta vedere cosa hanno fatto in giro per l’Italia quei cinque ragazzi stellati: si sono formati con noi e lavorano con la nostra filosofia».
«Cook the Mountains» è il vostro mantra. Può spiegare?
«Guardi, nel 2050 ci troveremo a dover nutrire dieci miliardi di persone nel mondo. Non è una cosa scontata, c’è tanto da fare. Il concetto “Cook the Mountains” lo abbiamo stilato nel 2008. L’essere stato lontano da casa per così tanto tempo mi ha portato a riscoprire le mie radici, la mia terra e a come poter dare valore alla materia prima. Sono anni che ci affidiamo ai piccoli produttori, nel rispetto dei cicli della natura e della biodiversità. La nostra è cucina stagionale e sostenibile, in sintonia con i nostri contadini coi quali siamo cresciuti. Oggi abbiamo una rete di una trentina di produttori locali: per noi rispettare la lingua della natura è la cosa più importante».
Ci faccia degli esempi.
«Quello che serviamo in tavola dipende dalla stagione, il nostro menù segue completamente la natura e il territorio. Significa ad esempio lavorare senza olio di oliva, ma di vinacciolo che otteniamo spremendo i semi dell’uva. Significa lavorare anche senza limoni, che certo qui da noi col freddo che fa non possono crescere. Spetta a noi trovare sul nostro territorio delle valide soluzioni alternative. Certo, è abbastanza complicato, ma allo stesso tempo è più stimolante e creativo».
Norbert, cos’è per lei l’Alto Adige?
«È il luogo dove sono nato e cresciuto. Vivo con la famiglia a Brunico, posto bellissimo con un’alta qualità della vita. Con la sua cultura e le tre lingue, italiano, tedesco e ladino, in Alto Adige possiamo dare moltissimo. È un luogo unico al mondo e da proteggere».