La pronuncia
giovedì 9 Febbraio, 2023
di Redazione
La sentenza n.15 del 2023 depositata oggi, ha stabilito che la previsione, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 anziché di quello di sottoporsi ai relativi test diagnostici (c.d. tampone), non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili.
È quanto si legge in un comunicato della Consulta che in risposta alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali ordinari di Brescia, di Catania e di Padova ha affermato che la normativa censurata ha operato un contemperamento non irragionevole del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività, in una situazione in cui era necessario assumere iniziative che consentissero di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione.
La sentenza, infine, ha deciso che quanto previsto dalle norme censurate – secondo cui al lavoratore che avesse scelto di non sottoporsi alla vaccinazione non erano dovuti, nel periodo di sospensione, la retribuzione né altro compenso o emolumento – ha giustificato anche la non erogazione al dipendente sospeso di un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio. La Corte, infatti, ha ritenuto non comparabile la posizione del lavoratore che non ha inteso vaccinarsi con quella del lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, casi questi ultimi in cui l’assegno alimentare può essere erogato. In particolare, la Corte ha escluso che fosse costituzionalmente obbligata la soluzione di porre a carico del datore di lavoro l’erogazione solidaristica di una provvidenza di natura assistenziale in favore del lavoratore che non avesse inteso vaccinarsi e che fosse, perciò, temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa, conclude la Corte Costituzionale.