Il verdetto
venerdì 21 Aprile, 2023
di Benedetta Centin
Omicidio di Eleonora Perraro. Anche in terzo grado è stata confermata la condanna all’ergastolo per l’artigiano roveretano Marco Manfrini, riconosciuto quindi colpevole di aver brutalmente ucciso la moglie di 43 anni la notte tra il 4 e il 5 settembre del 2019. Torturata a morsi e strangolata nel giardino di un bar a Nago Torbole. La Corte di Cassazione ieri pomeriggio si è infatti pronunciata rigettando i ricorsi (oltre dieci i motivi esposti) presentati dalla difesa dell’imputato (avvocati Elena Cainelli e Luigi Campone) e ha confermato la sentenza della corte d’Assise d’Appello emessa quasi un anno fa, il 16 maggio 2022, che a sua volta aveva ricalcato la condanna di primo grado per omicidio volontario pluriaggravato. Condanna, al massimo della pena, che ora diventa così definitiva per il 52enne Manfrini che da luglio 2021 si trova in carcere a Spini di Gardolo e che ha sempre respinto la pesante accusa. Quella, cioè, di aver ucciso la moglie dopo averla fatta ubriacare, tanto da renderla inoffensiva, prendendola poi a morsi, picchiandola e infine strangolandola. I legali del roveretano avevano avanzato una serie di contestazioni e sulla base di una tra queste anche l’istanza, già respinta in appello, sulla convocazione del collegio giudicante dell’Assise, considerata irregolare. Di qui la richiesta di annullare i verdetti precedenti e di rifare il processo. Richiesta motivata anche con il fatto che, a dire della difesa – che non aveva mai nominato un proprio consulente per l’autopsia -, le cause del decesso non erano mai state del tutto chiarite. Ma questi non erano gli unici motivi di ricorso presentati all’attenzione degli ermellini.
Ricostruzione confermata
Già nei precedenti processi Procura e legali delle parti civili (avvocati Alessandro Meregalli, Luca Pontalti e Andrea Tomasi) avevano rivendicato la fondatezza degli indizi e delle prove raccolte che convergevano su un’unica ricostruzione e su un unico autore del delitto: fede e dentiera, ma anche dna e sangue di Manfrini sono stati rinvenuti sul corpo della povera 43enne, che si presentava martoriato, con lesioni e morsi e con evidenti segni della violenta lite. L’autopsia ha rivelato che la donna è morta per «asfissia meccanica violenta», ossia il decesso era dovuto «a causa di una compressione a livello del collo». Non c’è stato quindi alcun terzo uomo sulla scena del crimine e tanto meno alcuna responsabilità del cane della coppia che, per i legali di Manfrini, poteva aver aggredito e morso Eleonora. E, anche nel terzo grado di giudizio, le argomentazioni portate dai legali dai familiari della Perraro (che si erano costituiti parte civile e a cui sono stati confermati i risarcimenti) sono state condivise dai giudici.
«Giustizia è fatta»
«Siamo contenti che sia stata restituita dignità alla memoria di Eleonora che era stata calpestata, che sia stata posta fine a questa straziante vicenda processuale – il commento dell’avvocato Alessandro Meregalli che assiste la mamma della vittima, Mariangela Boscaini – Rivendichiamo la correttezza delle argomentazioni tecnico giuridiche che avevamo sottoposto per contrastare i ricorsi della difesa di Manfrini: anche la Corte di Cassazione ha confermato che Eleonora Perraro è stata brutalmente uccisa dall’ex marito. Una ricostruzione, questa, che ha tenuto al vaglio di tutti i gradi di giudizio».
Mamma Mariangela Boscaini, che era presente in aula a Roma assieme alla figlia Erika, era seduta quando ha saputo della pronuncia degli ermellini. Al telefono parla di uno «stato d’animo indescrivibile» e commenta: «Giustizia è fatta. Questa storia è un esempio di femminicidio classico». La stessa ammette poi: «Erano tre anni e mezzo che aspettavo questo momento» le parole della donna in riferimento alla sentenza di terzo grado che chiude il procedimento penale a carico di Manfrini. La stessa mamma, che ringrazia i legali che hanno assistito lei e suoi familiari, continua: «Spero che questa sentenza possa aiutare maggiormente nei casi di codice rosso, perché sono stati fatti passi avanti ma c’è ancora molto da fare». Una sentenza che anche per la figlia Erika «ha un significato importantissimo nel contrasto alla violenza contro le donne».
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