L'intervista
domenica 2 Giugno, 2024
di Lorenzo Fabiano
Il volto pulito dello sport, un ragazzo d’oro e il figlio che tutti vorrebbero avere. L’Abruzzo la sua terra d’origine, Trento la sua terra promessa. Ventisette anni, segno zodiacale sagittario, si definisce un testardo, detesta aspettare e ama viaggiare; «Bohemian Rapsody» è la sua canzone preferita, «Il marchese del grillo» il suo film, «Milioni di farfalle – Il paradiso esiste, ci sono stato» di Eben Alexander il suo libro prediletto; di mestiere fa pallavolista, è un perticone di quasi due metri, e prendere a ceffoni la palla sottorete per le schiacciate è la sua specialità: Oreste Cavuto lascia il Trentino Volley dopo essersi tolto tutte le soddisfazioni possibili, e per salutare la città che lo ha accolto da ragazzo e lo ha preso per mano nella sua crescita di giocatore e uomo, una decina di giorni fa ha deciso di scriverle una lettera con parole d’amore e gratitudine che più di una pupilla hanno inumidito: «Ci pensavo da un po’, volevo trovare le parole giuste. Le ho analizzate e soppesate, e ho quindi espresso le mie emozioni. Qui ho ricevuto un affetto incredibile, era giusto farlo», racconta Oreste che con la maglia del Trentino Volley dal 2012 ad oggi ha vissuto tre stagioni tra le giovanili e cinque in prima squadra. La prossima la giocherà a Brescia, ma il suo saluto a Trento ha tutto il sapore di un arrivederci: «Le porte di questo club saranno sempre aperte per te», gli ha detto il presidente del Trentino Volley Bruno Da Re.
Oreste, cos’è Trento per lei?
«È casa. Sono arrivato qui che ero un ragazzo con davanti un mondo nuovo, e fin da subito ho sentito l’affetto della gente e ho capito quanto il Trentino Volley fosse un’eccellenza riconosciuta in città, in Italia e nel mondo. Tutte le mie aspettative si sono confermate, questo club è un punto di riferimento per lo sport trentino e il mondo della pallavolo. Una società che andrebbe studiate e presa a modello. Più indossi questa maglia, più ne avverti la responsabilità».
A Trento ha pure acquistato casa: ci tornerà a vivere?
«Al 100%. Sono legato all’Abruzzo, che è la mia terra, ma per mettere un giorno su famiglia Trento è il posto ideale dove crescere i propri figli».
Col Trentino Volley ha vinto praticamente tutto: mi fa il podio dei tre momenti più belli?
«Primo, la Champions League che è il ricordo più fresco. Secondo, il Mondiale per Club del 2018: venivamo da un periodo difficile in termini di risultati, ed è stata una liberazione, oltre che una gran soddisfazione. Terzo, lo scudetto dello scorso anno, la consacrazione di un gruppo che ha iniziato a lavorare insieme da giovane ed è arrivato sul tetto d’Italia. Lo scudetto è stato il frutto del sacrificio e del lavoro costante che abbiamo fatto ogni giorno».
La sua storia in azzurro?
«Bella, e spero si possa riaprire. Ho fatto sette-otto stagioni (53 presenze, ndr) sia in nazionale giovanile che in nazionale maggiore. Sono stato abbastanza presente nel gruppo, non ho disputato tutte le manifestazioni, ma ho sempre dato tutto. Indossare la maglia azzurra è un orgoglio»
«Non credo di poter essere performante al 110% senza questa maglia», parole sue per Trento. Brescia, abbiamo un problema…?
«In effetti è un problema… (ride, ndr). Diciamo che questa maglia mi ha sempre spronato a dare il 110%. La mia storia con Trento mi aiuterà a fare altrettanto in futuro anche altrove. La vedo come qualcosa che mi infonde un forte senso di responsabilità per ciò che faccio nel mio lavoro».
Nella sua lettera ha avuto parole toccanti per il presidente. Chi è per lei Bruno Da Re?
«Una figura paterna, come un secondo padre. Ho passato molto tempo con lui e mi ha insegnato tantissimo nella vita di sportivo e nelle relazioni con gli altri. Con lui c’è sempre da imparare e gliene sarò per sempre grato».
Con gli studi come andiamo?
«Ho fatto il penultimo esame a ingegneria civile; a settembre cercherò di fare l’ultimo che mi manca e a marzo del prossimo anno spero di potermi laureare. Studiare ti apre la mente e ti fa vedere il mondo con occhi diversi».
«Ingegner Cavuto» suona bene e abbiamo bisogno di ingegneri in questo Paese…
«Dipende per fare cosa… (altra risata, ndr). Io la mia vita la vedo sempre all’interno dello sport. Non mi ci vedo a quarant’anni a intraprendere un nuovo percorso a progettare strade e ponti».
Lasciamo stare i ponti, che l’argomento è delicato… Allenare?
«Quello mai!».
E perché?
«Conosco bene i miei colleghi… (e qui la risata è fragorosa, ndr). Piuttosto, mi piacerebbe lavorare coi giovani, ai quali oltre alla tecnica devi insegnare a stare al mondo. Lo sport è una scuola di ideali e di pensiero».
Il primo consiglio a un giovane allievo?
«Portare avanti le proprie convinzioni senza sentirsi giudicati da nessuno e senza giudicare gli altri. A Trento ho seguito le formazioni giovanili, e ho visto troppi ragazzi bruciarsi per essersi paragonati ai propri pari età. Ognuno fa il suo percorso, ognuno ha i suoi tempi per esprimere il proprio potenziale. Paragonarsi alle capacità degli altri ragazzi è deleterio: finché è un gioco, deve rimanere un divertimento; il salto lo fai più avanti quando senti nascere la consapevolezza che potrà diventare il tuo lavoro».
Federer, il suo idolo: pensavo fosse un pallavolista e invece…
«Lo è per il suo stile, un campione a 360° dentro e fuori dal campo per il suo rapporto con il pubblico e per l’impegno benefico attraverso la sua fondazione. È un esempio, e l’ho sempre preso come punto di riferimento».
La cena di commiato coi compagni l’avete fatta?
«Sì, tra di noi qui a Trento. E abbiamo portato la Coppa. L’abbiamo già fatta perché c’era chi sarebbe andato in Nazionale e chi dalla famiglia. In una stagione questo è il periodo più brutto, perché viene a mancare quella quotidianità che c’è in un gruppo tra persone che sono abituate a stare insieme quasi ventiquattro ore al giorno. Ci ritroveremo, in campo e fuori».
Ingegner Cavuto, in bocca al lupo! Trento le vorrà sempre bene.
«E io altrettanto!».