La tragedia

lunedì 7 Agosto, 2023

Orrore sul K2, il portatore Muhammad Hassan muore sotto gli occhi degli alpinisti

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I fatti risalgono allo scorso 27 luglio. L'uomo è stato vittima di una brutta caduta ma ha passato ore in agonia senza essere soccorso, mentre alpinisti e sherpa lo superavano per proseguire la scalata

Morto sul K2, all’altezza del famigerato «collo di bottiglia», dopo ore di agonia in seguito ad una caduta. Se n’è andato così, secondo le ricostruzioni fatte da Angela Benavides, Muhammad Hassan, un portatore pakistano di una delle tante spedizioni che affollavano in quei giorni la montagna del Karakorum. Le condizioni meteo non favorevoli, infatti,  avevano bloccato per settimane le spedizioni estive sul K2 e questo ha fatto sì che quando si è aperta una finestra di tempo favorevole molte squadre hanno lanciato l’assalto alla vetta contemporaneamente.
Hassan faceva parte della squadra di portatori che nella notte si stava occupando di preparare le corde fisse nel collo di bottiglia, un passaggio molto tecnico e pericoloso sotto la cima del K2. Forse una valanga, forse un errore umano, ad un certo punto Hassan è caduto e per più di un’ora è rimasto sospeso alle corde prima che le altre guide riuscissero a recuperarlo. L’aspetto più impressionante è che, secondo la ricostruzione di Benavides, a questo punto Hassan avrebbe passato ore ancora vivo, ma incapace di muoversi, disteso nel collo di bottiglia mentre alpinisti e guide delle varie spedizione partivano e tornavano al campo dopo aver raggiunto la vetta. Certo organizzare operazioni di soccorso a 8mila metri non è facile, ma il racconto getta un’ombra sinistra sul mondo dell’alpinismo himalayano.
«Coloro che vanno in giro a vantarsi di record legati a questa salita del K2 devono solamente provare vergogna – ha scritto in un post sui social il giornalista di montagna Alessandro Filippini – E i loro record dovrebbero essere ignorati o, se citati, almeno accompagnati da questa nota: “con vergogna”, se hanno proseguito, in salita o in discesa, pur sapendo che Hassan era ancora vivo (a lungo, come suggerito dalle testimonianze raccolte da Benavides) e che nessuno stava cercando di calarlo per provare a salvargli la vita.
Oppure: “con infamia”, per chi ha organizzato la spedizione in cui Hassan è stato mandato a lavorare nella squadra incaricata di aprire la via al Collo di Bottiglia e al Traverso (da 8100 a oltre 8300 m), passaggi delicati e in altissima quota, nonostante non avesse esperienza precedente e nonostante non avesse equipaggiamento adeguato per quella altitudine.
Detto tutto ciò, va comunque ribadito che sul K2 e in particolare su quei passaggi, come quasi ovunque quando si tratta di 8000 e più metri, ognuno dovrebbe essere responsabile di se stesso. Il che significa anche sapere e aver ben compreso, che lassù non può esistere certezza di essere soccorsi, tanto più se non si è in grado di muoversi. Difficile pensare che Hassan, alla prima esperienza come portatore sulla montagna e in alta quota, fosse cosciente di ciò. Coscienti invece dovevano essere tutti i cacciatori di record e di fama che non si sono fatti scrupoli nel proseguire la salita anche se sulla loro via un uomo stava morendo, ed era poi morto (ma dopo che lo avevano visto ancora in vita…). Morto proprio per favorire la loro vanagloria».

Una foto di Mohammad Assan