l'opinione

lunedì 4 Settembre, 2023

Orsa Amarena, Ferrazza (Parco Adamello Brenta): «Era attrazione del social, sbagliato»

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Una riflessione del presidente del Parco sul recente abbattimento del plantigrado, un caso fortemente dibattuto in questi giorni dall’opinione pubblica

Dopo l’uccisione a colpi di fucile dell’orsa Amarena avvenuta in Abruzzo la sera dell’1 settembre, il presidente del Parco Adamello Brenta, Walter Ferrazza, mette nero su bianco una lunga riflessione su quanto accaduto.

Qui di seguito le sue parole:

Dopo quanto accaduto in Abruzzo credo fosse necessario qualche giorno di silenzio e di rispetto. Rispetto verso un popolo – e con lui un territorio – che adesso si trova al centro di una tempesta mediatica, e noi trentini sappiamo bene cosa significa. Ma anche rispetto nei confronti della natura che, per quello che ci è dato di sapere dell’episodio specifico, non merita di essere strumentalizzata dalle diverse tifoserie pro e contro orso. Un atteggiamento che, al solito, infastidisce quanti hanno più bisogno di un’opinione “rapida” (compresa la loro) piuttosto che di reali considerazioni magari basate su un fastidioso rigore scientifico.

F17 era un animale, suo malgrado, diventato una fonte di attrazione debitamente documentata sui social network: una situazione che di per sé ha qualcosa che non va, qualcosa di sbagliato. Ma pochi sembrano essersene accorti, e pochi hanno capito che questa è la chiave per la salvezza dell’uomo e dell’animale.

Fatemi dire una banalità che forse oggi è stata dimenticata: gli animali selvatici sono animali selvatici.

Ciò sicuramente vale a maggior ragione per i grandi predatori, che non sono e non devono essere “instagrammabili”. Sono animali che dovrebbero rimanere nel loro habitat, lontano dall’uomo e dalle sue attività. Incoraggiarne la prossimità e volerli umanizzare è una forzatura che porta alle peggiori conseguenze.

Gli orsi “confidenti” per il loro e il nostro bene vanno dissuasi dal frequentare i centri abitati. Questo è un principio troppo spesso ignorato. Certamente non possiamo non giustificare la buona fede di quanti vivono il loro rapporto con gli animali selvatici solo con il cuore e altrettanto comprendiamo il sincero dolore espresso. Ma per amare davvero qualcosa dobbiamo anche percorrere la strada della testa: la conoscenza. Conoscere bene qualcosa o qualcuno, in modo da arrivare a coglierne il valore vero, il suo significato, e il miglior modo per conservarlo.

Quello che siamo obbligati a fare, come territorio che, assieme a quello abruzzese, vede al suo interno una colonia ursina, è quindi di invitare, ancora una volta, tutte le persone che hanno davvero a cuore la questione ambientale, a non creare nuovi conflitti. La risposta, di fronte ad episodi come questo dev’essere sempre ragionata, razionale, pacata e fondata sulla conoscenza scientifica. Non è possibile davvero più tollerare alcun estremismo contro l’uomo o l’orso. Affidiamoci a scienza e conoscenza.

Ognuno di noi dovrebbe analizzare la propria posizione, considerando l’effetto dei suoi comportamenti nei confronti della natura e dei suoi simili. Abbiamo mancato e manchiamo di rispetto nei confronti della biodiversità, che è la strada della salvezza. Lo facciamo continuamente. Lo facciamo quando non consideriamo l’impatto ambientale delle nostre azioni anche quotidiane. E lo facciamo certo quando abbattiamo un animale in maniera sconsiderata, fuori dalle regole. Ma lo facciamo altrettanto quando perdiamo di vista l’obiettivo principale, tutelare la biodiversità e quindi l’esistenza di una specie animale. Quando ci concentriamo sul singolo episodio, quando neghiamo che la convivenza uomo-animale vada gestita, quando ci limitiamo ad emettere sentenze come: l’uomo si faccia da parte, eviti di invadere gli spazi degli orsi (come se ci fossero confini certi e inviolabili che separano la sfera umana da quella animale), oppure quando vogliamo eradicare ogni specie a noi non congeniale.

Sbagliamo persino quando pensiamo all’animale come a un soggetto da fotografare per il nostro piacere, per la nostra vanità. Intendiamoci: vedere un animale selvatico, nel suo ambiente naturale, è un’esperienza bellissima, ed è legittimo che in tanti la inseguano. Ma attenzione. C’è un limite che non dovrebbe essere varcato. Nell’interesse dell’animale, innanzitutto.

Ogni primavera ci obbliga infatti agli stessi insegnamenti per evitare l’ingerenza dell’uomo nella vita della fauna: intromissione fatta con la più nobili intenzioni ma che finisce sempre nello stesso modo; con la morte dell’animale selvatico. Raccogliere i cerbiatti che eventualmente si rinvengono ritenendoli abbandonati, dare cibo alle marmotte che poi, partiti i turisti, non riescono più ad autoalimentarsi, e così via.

Dobbiamo recuperare queste semplici lezioni, che trasudano buonsenso. Affidarci agli esperti che forniscono modi e numeri per gestire le diverse specie animali, come si fa da anni in Trentino. E demonizzare in ogni modo chi vuol “fare da sé”. Non è quella la via.

Al tempo stesso, chiediamo a chi è investito della responsabilità di fare delle scelte di farle davvero. Perché quando si lasciano le cose come stanno per troppo tempo, senza porvi mano, senza gestirle, i problemi prima o poi emergeranno di nuovo. E poi sarà più difficile venirne a capo. Chiediamo infine a quanti credono diversamene di essere utili ingenerando ulteriore entropia con lotte fratricide di smettere: basta incolpare, giudicare, schernire, odiare. Per chi vuole essere utile si apre la stagione delle scelte che dovranno livellare gli estremismi attraverso i soli dati oggettivi della scienza e della conoscenza. Il cuore dovrà poi perfezionare le decisioni.

Non posso pensare comunque che l’uomo voglia continuare a scegliere la strada del conflitto evitando di trovare soluzioni di buon senso, perché ricordiamoci che “se il conflitto non viene buttato fuori dalla storia dagli uomini, sarà il conflitto a buttare fuori gli uomini dalla storia”.