L'intervista
sabato 3 Agosto, 2024
di Simone Casciano
La gestione dell’orso passa dalla ricerca. Ne è convinto lo zoologo trentino Filippo Zibordi. Per oltre dieci anni al lavoro al Parco naturale Adamello Brenta nell’ambito del progetto di reintroduzione dell’orso in Trentino, l’esperto ritiene che vada rilanciato lo sforzo della Provincia nella ricerca, perché la conoscenza permette di gestire meglio il fenomeno.
Zibordi concorda con Genovesi quando chiede un uso maggiore dei radiocollari?
«Diciamo che va fatta una distinzione. I radiocollari sono una grande fonte di informazione se vengono utilizzati su una fetta considerevole della popolazione ursina, un po’ come se tracciassimo con il Gps una percentuale di popolazione umana. Quindi l’uso della telemetria è una delle branche che dovremmo approfondire. Sicuramente con i radiocollari potremmo capire meglio quali territori frequentano gli orsi, deve si dirigono abitualmente per la loro alimentazione o anche dove vanno a svernare. Non sono l’unica cosa. Dobbiamo anche fare più campionamenti genetici, non solo per le stime della popolazione, e analisi degli escrementi per capire lo stato di salute e la loro dieta. Dobbiamo far ripartire la ricerca scientifica, perché se ne fa poco o nulla in Trentino. Ricerca che non va considerata come una cosa a sé stante, per far lavorare i ricercatori, ma come ricerca applicata per conoscere i nostri orsi e quindi orientare meglio le scelte politiche e le azioni del nostro corpo forestale. La Provincia finora non ha perseguito questa strada, ma solo quella di munire di radiocollare gli orsi problematici, ma così sarebbe un utilizzo limitato dello strumento, quasi da braccialetto elettronico con un criminale. Se lo usiamo così non ci dice molto sulla popolazione ursina, anche se resta importante per poter intervenire».
Il radiocollare serve per la dissuasione?
«Assolutamente, è importantissimo associare il rinforzo negativo della pallottola di gomma al comportamento che vogliamo dissuadere. Bisogna agire tempestivamente così l’orso associa al mangiare dal cassonetto lo sparo, se il proiettile di gomma arriva mezz’ora dopo perdi quell’associazione fondamentale per rieducare l’orso. Ancora una volta sono attività molto importanti, perché se lo fai riduci il numero di orsi problematici e gli abbattimenti diminuiranno. In un mondo ideale, se la prima volta che un orso entra in paese e si avvicina una fonte di cibo siamo lì a fare la dissuasione si risolverebbero molti problemi».
Parlava prima di un numero da radiocollarare per avere un monitoraggio rilevante, a quanti orsi pensa?
«Dipende dalla popolazione. Fossimo in Slovenia dove ci sono mille orsi la percentuale necessaria diminuisce. Qui in Trentino direi un 10% degli orsi. Se ne avessimo il 10% con radiocollare potremmo ottenere dei risultati molto validi. Sono 120 diciamo quindi circa 12. È un po’ come un sondaggio demoscopico, bisognerebbe bilanciare maschi e femmine e i giovani non possono essere radiocollarati perché stanno ancora crescendo».
Quali sono le altre azioni di ricerca che ritiene importanti e che ora non si fanno?
«Verso la fine del progetto Life Ursus, quando collaboravo con il Parco Adamello Brenta, facevamo tanti studi importanti. Penso per esempio ad uno studio della dieta degli orsi che è servito sia per la comunità scientifica sia per il territorio, scoprendo che hanno un’alimentazione simile a quella di altri paesi europei, con diversificazione legata a disponibilità di frutta, insetti e carcasse. Di ricerche se ne possono fare tante e tutte avrebbero valenza per la gestione, e per informare la comunità, smentendo o confermando quello che si dice nella vulgata. Per esempio: mi fa rabbrividire quando si dice che vanno a mangiare nei cassonetti perché non trovano cibo, è semplicemente falso».
Cogliamo allora questa occasione di smentire la vulgata comune?
«Gli orsi mangiano di tutto e lo abbiamo documentato. Parlo dei nostri esemplari, e qui trovano tutto il cibo di cui hanno bisogno in natura, con una variazione che dipende dal momento dell’anno. Usciti dal letargo cercano animali morti per cause naturali per ripristinare la massa corporea, poi vanno sulla vegetazione di media quota e infine si spostano verso gli insetti in autunno. Però gli orsi sono abitudinari, onnivori e opportunisti. Quindi possono essere attratti da una fonte di cibo facile, direi che se questa fonte è in paese 9 orsi su 10 rimangono diffidenti, ma uno magari è più spregiudicato e prova ad avvicinarsi. E se quel buon odore che lo ha attratto è un apiario non protetto o un cassonetto facilmente accessibile allora lì si verifica un rinforzo positivo e quindi se poi sentirà di nuovo quell’odore ci proverà ancora. I nostri luoghi semi naturali e urbani non devono avere disponibilità di cibo facile».
Quindi non è vero che scendono in paese perché sono troppi?
«Esatto, da un punto di vista naturalistico va capito che è la capacità portante di cibo nel bosco a determinare il numero di orsi in un territorio. Nel momento in cui c’è un problema di risorse, ma soprattutto aumentano gli incontri tra orsi, i plantigradi vanno in dispersione e infatti è quello che sta succedendo. Sono più di 50 gli orsi trentini usciti dal territorio provinciale in 15 anni, principalmente maschi, ma anche le femmine hanno cominciato. Gli orsi non sono troppi, l’ambiente ha una sua capacità portante e quando questa viene superata gli esemplari vanno in dispersione. Va chiarito che sto parlando da un punto di vista naturale, poi certamente esiste anche un punto di vista sociale che è un altro discorso altrettanto importante da fare. Mi si può dire che 150 sono troppi e ci sta, per quel che riguarda l’aspetto sociale e della coesistenza, ma da un punto di vista naturalistico va chiarito che non è così. E poi non bisogna creare trappole ecologiche, costruire fonti di cibo artificiale che foraggiano volontariamente o involontariamente gli orsi».
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