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domenica 9 Giugno, 2024

Orso albino morto, l’esperto: «Il suo caso è soprattutto un tema etico»

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Lo zooantropologo Pallante (Istituto italiano di bioetica): «Leggi o meno, bisogna chiedersi se è giusto non soccorrere un animale in difficoltà»

La tragica fine dell’orsetto albino di Garniga continua a far discutere. L’orsetto era stato notato in difficoltà da dei passanti sul sentiero verso malga Albi domenica 12 maggio. I forestali, una volta intervenuti, avevano deciso di non salvarlo, preferendo il ricongiungimento alla madre. Tre giorni dopo il cucciolo è stato ritrovato morto. Se prima era stato il veterinario Alessandro Deguelmi a criticare la decisione di non far visitare l’esemplare da un veterinario, ora è l’istituto italiano di Bioetica, tramite lo zooantropologo Giuseppe Pallante, a commentare l’accaduto. «Lasciamo da parte le valutazioni che la magistratura farà in merito all’abbandono e conseguente morte. E lasciamo da parte anche il ruolo del veterinario come giudice sanitario. Resta di fondo una questione paradigmatica – scrive Pallante nel suo intervento – La domanda delle domande non è se l’orso è un animale e in quanto animale abbia diritto o meno a prestazioni veterinarie che ne valutino lo stato di salute, tema a cui si appellano quanti hanno già fatto ricorso alla magistratura, ma tema principale è se l’orso abbia il diritto ad essere considerato un soggetto morale». Scrive Pallante che «appellarsi all’accertamento dello stato sanitario dell’orsacchiotto, come discriminante delle responsabilità del mancato intervento, riduce la platea dei soggetti responsabili e limita il dibattito ad una sterile valutazioni di compiti istituzionali». Così come «circoscrivere il dibattito alla sua natura, all’animalità dell’orso apre, come si è potuto leggere, ad una serie di azioni già declinate dai forestali presenti sul posto a giustificazione del mancato intervento del veterinario». Giustificazioni figlie, secondo Pallante, «del riconoscere l’orso solo in quanto animale». Ma secondo l’esperto bisogna invece chiedersi se: «Dal momento che l’uomo ne è a conoscenza, davanti al dramma dell’orsetto perché non è stato fatto niente». Un dilemma etico che pone l’uomo soggetto al centro della vicenda di fronte a cui «questa azione inibitoria lascia sgomenti». Scrive Pallante che «Se consideriamo l’uomo come soggetto eticamente responsabile delle sue azioni, esso dovrebbe sempre e comunque intervenire in casi di bisogno, a prescindere dal ruolo e dalle competenze. Il vero focus quindi non è se si sono chiamati o meno i veterinari competenti, ma piuttosto perché non si sono messe in atto una qualunque procedura di intervento». Da questo punto di vista etico quindi «le risposte fornite dagli operatori sul posto possono essere giustificate in una scala di comandi, una gerarchia che rimanda al motore decisionale (politico?), cosa che fin qui non è ancora emersa. Qualunque cittadino con o senza qualifica o competenza professionale, davanti ad una creatura in difficoltà si sarebbe sentito “umanamente” in condizioni di intervenire». Secondo Pallante «è questo che lascia allibiti. Il ruolo istituzionale ha prevalso su qualunque azione etica umanamente comprensibile». Secondo Pallante è quindi necessario stabilire «cosa c’è prima e sopra la legge, e se la stessa giustifichi tutto». Un interrogativo da porre innanzitutto al mondo politico chiamato «fare una dichiarazione di principio su quale riferimento etico poggi il suo modo di procedere» da cui «a cascata ne conseguono poi gli indirizzi e i conseguenti riferimenti giuridici e sanitari». Al contrario al momento Pallante osserva «un pensiero rigido cercato e voluto dal politico di turno, perché nel semplificare la questione riduce gli schieramenti in un “pro” e “contro” orso. Negando il dialogo, ma creando ulteriore attrito e discredito tra le ipotesi divergenti». Un atteggiamento manicheo che distrugge le riflessioni. In assenza di un principio etico secondo Pallante «alle parti in causa non resta che appellarsi alla giustizia». Ma, conclude lo zooantropologo, «quando ci si rivolge alla giustizia è evidente che abbiamo rinunciato “a priori” di servirci di altri strumenti».