Cinema

martedì 4 Marzo, 2025

Oscar 2025: la grande delusione (per gli scandali) di «Emilia Pérez» e il trionfo di «Anora». Ecco cosa resta dopo la consegna delle statuette

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L'analisi di Michele Bellio dopo la 97a edizione degli Academy Awards

Sono necessarie almeno 24 ore per lasciar sedimentare tutto ciò che accade normalmente durante la notte degli Oscar. La 97a edizione degli Academy Awards, i premi con cui sostanzialmente Hollywood celebra se stessa, si è svolta lo scorso 2 marzo nel Dolby Theatre di Los Angeles e, a detta di molti, si è trattato di una serata non particolarmente entusiasmante. In realtà ci sono molte cose su cui riflettere, ma andiamo con ordine.

Al di là delle attribuzioni delle singole statuette, l’Oscar è un momento di spettacolo che accende i riflettori su diversi aspetti del mondo del cinema. Condotta per la prima volta da Conan O’Brien, comico televisivo noto per il suo umorismo surreale, la serata ha riservato alcuni momenti emozionanti: l’arrivo di Isabella Rossellini (candidata come attrice non protagonista per «Conclave») vestita con gli orecchini della madre Ingrid Bergman e con un abito di velluto blu in omaggio al grande regista David Lynch, suo compagno di un tempo, scomparso a gennaio; il lungo applauso con standing ovation riservato ai vigili del fuoco di Los Angeles, per il loro impegno nel contrastare i terribili incendi che a gennaio hanno devastato la città californiana; il commosso omaggio di Morgan Freeman all’amico e collega Gene Hackman, morto tragicamente qualche settimana fa; l’incontro sul red carpet fra Whoopi Goldberg e Demi Moore a 35 anni dall’uscita del film «Ghost»; il tradizionale video in ricordo dei professionisti del cinema scomparsi nell’anno appena trascorso (con la discutibile mancata citazione di Alain Delon e di altre celebrità, come Shannen Doherty); la celebrazione dell’universo cinematografico di James Bond tramite l’attribuzione dell’Irving G. Thalberg Memorial Award ai produttori Barbara Broccoli e Michael G. Wilson.

Accanto a tutto questo, ovviamente, sono stati attribuiti i vari premi nelle diverse categorie. Diventa qui necessario ricordare che il film che fino a qualche mese fa era favorito per la vittoria, lo splendido «Emilia Pérez» di Jacques Audiard, in lizza per 13 statuette, ha dovuto affrontare le conseguenze di uno scandalo (scatenatosi con notevole tempismo) legato ai confusi tweet, ritenuti razzisti e islamofobi, pubblicati alcuni anni fa dalla protagonista del film Karla Sofia Gascón (favorita per la vittoria). Le conseguenze di quanto accaduto hanno spinto il regista e le colleghe a scusarsi e a prendere le distanze da quanto dichiarato, ma hanno affondato le possibilità del film di aggiudicarsi i premi principali. «Emilia Pérez» ha quindi conquistato “solamente” due statuette, quella per la miglior attrice non protagonista a Zoe Saldaña e quella per la miglior canzone, «El Mal». Poco, considerando il grande lavoro realizzato da Audiard per mescolare i generi cinematografici tra musical e polar e dare vita ad un intenso melò con una memorabile protagonista transgender. Le comprensibili necessità di immagine dell’Academy hanno purtroppo avuto la meglio sui meriti artistici del film, che rimane il grande deluso della serata.

Non va certo meglio all’innovativo «The Substance» di Coralie Fargeat, body horror di sublime fattura che riflette con intelligenza sulla considerazione del corpo femminile una volta raggiunta la soglia fatidica dei 50 anni. Solo un riconoscimento, per trucco e acconciatura. Per una sorta di involontaria ironia, dato che nel film è sostituita da una versione giovane di se stessa, la protagonista Demi Moore, candidata per la prima volta e da tutti data per vincitrice dopo lo scandalo Gascón, vede il suo premio finire nelle mani di Mikey Madison, splendida e giovanissima protagonista di «Anora». La delusione sul volto della Moore al momento dell’annuncio era evidente, ma va detto che «Anora» e il suo regista, Sean Baker, sono i veri trionfatori della serata.

Il film ha conquistato 5 premi (film, regia, attrice, sceneggiatura originale e montaggio) e di questi 4 sono andati direttamente al regista, esponente di spicco della scena indipendente americana. Una volta constatato che il film di Audiard era ormai fuori dai giochi, in molti hanno puntato sulla commedia di Baker, che racconta con la consueta schiettezza un mondo in cui si crede che ricchezza e felicità siano sinonimi.

Tra gli avversari non hanno sfondato il monumentale «The Brutalist» di Brady Corbet, premiato per la fotografia, la colonna sonora e per la maiuscola interpretazione di Adrien Brody nei panni di un architetto ebreo scampato a Buchenwald, né «Conclave» di Edward Berger, premiato per la sceneggiatura non originale. Nella sezione dedicata ai film internazionali il riconoscimento va a «Io sono ancora qui», film nobile, che affronta la dittatura militare brasiliana, ma forse l’iraniano «Il seme del fico sacro» avrebbe meritato maggiore attenzione. Tra le gradite sorprese il premio come miglior film d’animazione a «Flow – Un mondo da salvare», piccolo film lettone che ha convinto con il suo messaggio ambientalista e il suo elogio della collaborazione solidale, sconfiggendo colossi come DreamWorks e Pixar.

E significativo l’Oscar come miglior documentario a «No Other Land», realizzato da un collettivo israelo-palestinese per raccontare la volontà di Israele di distruggere il villaggio palestinese di Masafer Yatta in Cisgiordania, allo scopo di costruire nuove strutture militari. In conclusione, forse un’edizione che non rimarrà nella storia degli Oscar per qualche motivo specifico, ma semplicemente un ulteriore tassello nell’evoluzione di un premio che nel bene e nel male riflette le sensibilità del momento, dimostrando forze e fragilità di un sistema che vede la sua intera esistenza svilupparsi sotto ai riflettori del mondo. Tale è e solo come tale va sempre inteso ed interpretato.