l'intervista
venerdì 5 Maggio, 2023
di Alice Ciresa, Alessandro Dezulian e Fabio Libener
Il futuro dell’ospedale di Cavalese è ancora un interrogativo, sospeso tra la ristrutturazione e un edificio ex novo. Roberta Finessi, infermiera, da quindici anni lavora nel nosocomio fiemmese ed è dirigente sindacale di Nursing Up. Finessi riconosce che la sanità, per gli standard richiesti oggi, ha bisogno di una struttura rinnovata: non si sbilancia sull’ipotesi di un Partenariato pubblico privato («La scelta è politica»), ma chiede che la sanità resti in mano pubblica e ricorda che il grande «capitale» dell’ospedale di Cavalese è il personale sanitario.
Quali sono, dal punto di vista dei lavoratori, i pro e i contro di una ristrutturazione dell’ospedale a Cavalese?
«A lavori terminati dovrebbero esserci solo differenze migliorative. Di sicuro la posizione in una zona soleggiata dell’attuale ospedale consente un risparmio energetico ed evita ulteriore consumo di suolo».
Cosa si potrebbe fare e cosa è stato fatto per migliorare le condizioni dell’ospedale, negli ultimi anni, non solo strutturalmente?
«Sono state apportate molte modifiche, soprattutto durante la pandemia in cui gli ambulatori venivano convertiti in stanze di degenza con strumentazioni arrangiate. Si spera che questo evento eccezionale non si verifichi più, ma ci ha fatto riflettere sull’inadeguatezza negli spazi. Inoltre è stato riaperto il punto nascita che ha permesso di reintrodurre anestesisti rianimatori e pediatri, con i vantaggi che ne conseguono».
Quali sono secondo lei i punti di forza dell’ospedale?
«Le persone che vi lavorano, amanti del proprio lavoro e legate al territorio; ci mettono passione e professionalità nonostante stanchezza e difficoltà, personale ridotto e turni pesanti. Ricordiamo anche le eccellenze di questo ospedale, come l’Ortopedia e gli altissimi numeri di prestazioni fatte dal Pronto soccorso».
«Quali i punti di debolezza?
«La struttura stessa, perché non ha più le caratteristiche per essere funzionale».
C’è il timore che una ristrutturazione possa portare a una perdita di personale sanitario?
«Non credo, il personale che lavora a Cavalese, per lo più proviene dalle Valli dell’Avisio. è legato al territorio».
C’è già effettivamente una carenza di personale?
«La carenza di infermieri è un problema che riguarda tutta l’Italia: sempre più frequentemente un certo numero di neolaureati va a lavorare all’estero, dove sono ricercatissimi e pagati molto di più, perché considerati tra i migliori d’Europa. Al momento sono all’incirca 200 gli infermieri trentini che lavorano all’estero. La carenza di personale riguarda anche l’Ospedale di Cavalese, dove le assenze per gravidanza vengono sostituite raramente e in alcuni reparti mancano anche 3 o 4 persone, con la conseguenza che si è costretti a chiudere alcuni servizi e ad allungare i tempi d’attesa».
I giovani si avvicinano alle professioni sanitarie?
«Nonostante diano grandi gratificazioni, le professioni sanitarie sono poco attrattive, soprattutto laddove il lavoro è organizzato in turni, principalmente tra infermieri e ostetriche, ma anche Oss. Le condizioni di lavoro sono pesanti, gli orari non si conciliano con la gestione di una famiglia, le responsabilità sono grandi. Il tutto con uno stipendio che nemmeno lontanamente compensa i sacrifici».
Come valuta il sindacato l’eventuale realizzazione di un nuovo ospedale con il Ppp?
«È una decisione politica, che a sua volta ha demandato l’onere della scelta ai territori. L’unica cosa che preme sottolineare al sindacato è che la sanità trentina rimanga pubblica e accessibile a tutta la popolazione, il Sistema sanitario nazionale è la cosa più democratica che abbiamo in Italia, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione».
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