La lettera
giovedì 16 Maggio, 2024
di Alberto Folgheraiter
Papa Francesco, che sabato va a Verona, ha scritto un intervento pubblicato dal quotidiano «L’Arena» per parlare di pace e indicare, tra le figure luminose di quella comunità, don Domenico Mercante, parroco di Giazza sui Lessini, e Leonardo Dallasega, soldato dell’alta val di Non, inquadrato nelle SS tedesche, il quale si rifiutò di uccidere il sacerdote e per questo fu assassinato pure lui dai commilitoni a Sdruzzinà di Ala. Ha scritto il Papa: «Alcune persone mi hanno raccontato una vicenda storica nella quale la giustizia e la pace si sono congiunte in un doppio sacrificio personale: quello di don Domenico Mercante, un parroco della montagna veronese preso in ostaggio da soldati nazisti nei giorni concitati della fine della guerra, e quello del soldato Leonardo Dallasega che si rifiutò di ucciderlo perché, da credente, disse, non poteva uccidere un sacerdote. Entrambi vennero barbaramente assassinati. In questa tragica circostanza troviamo il senso profondo del sacrificio cristiano: dare la vita per l’altro, anche a costo della propria». Accadde negli ultimi giorni di guerra, mentre gli anglo-americani e i partigiani stavano conquistando l’alta Italia e i tedeschi erano in fuga verso nord. Nel paese di Giazza, dopo un conflitto a fuoco con i partigiani, un centinaio di soldati tedeschi prese in ostaggio il parroco, don Mercante, per farsi scudo verso passo Pertica e scendere, attraverso la valle di Ronchi ad Ala, in valle dell’Adige. Alle 5 del pomeriggio del 27 aprile 1945, in prossimità del bivio di Ceré dove si innesta la strada per Pilcante di Ala, un capitano delle SS formò un plotone di esecuzione per fucilare l’ostaggio. Si fece avanti un caporalmaggiore del quale per anni non si è conosciuta l’identità: «Qui si fucila un innocente, questo è un omicidio». Il capitano ripeté l’ordine. «Io sono cattolico – replicò il caporalmaggiore – ho moglie e quattro figli ma non voglio e non posso fucilare un sacerdote». Immediatamente degradato e privato dei documenti personali, il soldato fu passato per le armi subito dopo aver assistito alla fucilazione di don Mercante. I due cadaveri, coperti con un po’ di terra, furono abbandonati nel cratere di una bomba. Solo il 3 maggio 1945, dopo la fuga dei soldati tedeschi, alcuni abitanti di Ala esumarono le salme. Quella di don Mercante fu riportata a Giazza, mentre lo sconosciuto militare tedesco fu sepolto nel cimitero di Ala con un cippo che riportava il numero 5. Il cappellano dell’ospedale di Ala, Stefano Girardi e il custode del cimitero, Giovanni Mabboni dichiararono per iscritto di non aver trovato addosso al soldato tedesco alcun documento di identità. Solo un rosario di grani neri e la fotografia di una donna. Il 15 settembre 1956, i resti dello sconosciuto furono esumati e trasferiti nel cimitero tedesco di Merano dove furono sepolti sotto il cippo numero 1018. Soltanto nel 1979 e grazie alle ricerche di un anziano prete di Sant’Ambrogio di Valpolicella, monsignor Luigi Fraccari, fu restituita l’identità e, con essa, l’onore a quel soldato sconosciuto. «Il T Quotidiano» ha rintracciato un nipote che vive al maso Raut di Vigo di Ton. Siegfried Mairhofer (1951) è figlio della sorella di Leonardo Dallasega. Alla notizia che il Papa ha citato il soldato-eroe esclama stupito: «Madònega, che onor». «Mia mamma, Amelia, mi raccontava dello zio Leonhard che nel 1936 era stato arruolato fra gli alpini per la guerra in Eritrea contro l’Abissinia. Ammalatosi di tifo fu rimpatriato e tornò a Provés, nell’alta val di Non dove vivevano i genitori e due sorelle: Amelia e Frida. Nel 1941 sposò Maria Herbst dalla quale ebbe Elisabetta (Lisl), Ewald e due gemelli che moriranno di lì a due mesi».
Quando, dopo l’8 settembre 1943, i nazisti occuparono l’alta Italia, Leonhard fu richiamato in servizio e arruolato nelle SS. La sua compagnia fu inviata a Caldiero di Verona dove il militare di Proves fece il portalettere e il capocuoco.
«Si è saputo molti anni dopo – racconta il nipote Siegfried Maierhofer, che ha fatto il portalettere come lo zio – che quando il fronte tedesco crollò, Leonhard aveva imboccato i sentieri di montagna per tornare a casa. A Giazza, dove intendeva pernottare la notte del 26 aprile 1945, fu raggiunto da un gruppo di paracadutisti in fuga i quali lo costrinsero ad unirsi a loro». Del tragico epilogo s’è detto. Dal racconto del nipote e di una signora, Maria Bosin, che da anni fa la collaboratrice domestica in casa Dallasega al Raut, si viene a sapere che, finita la guerra, la moglie di Leonhard cercò a lungo il marito. Solo nel 1946, un commilitone di Linz le comunicò che Leonhard era stato fucilato vicino a Trento «perché durante la ritirata aveva abbandonato la sua unità». Non seppe altro per molti anni. Risposatasi (1952) con Angelo Kerschbamer, proprietario di un maso a Proves, mise al mondo altri quattro figli, tre maschi e una femmina. Nel 1965, la famiglia Kerschbamer si trasferì a Sopramonte per lavorare a mezzadria il podere del professor Enrico Nardelli, chirurgo dell’ospedale di Cles. E a Sopramonte, il 15 giugno 1985, la vedova di Leonhard Dallasega seppe da don Fraccaro di Verona i particolari di quanto accaduto alla fine della guerra. Un soldato che, proprio a Verona, papa Francesco cita tra gli eroi cristiani e che potrebbe preludere ad una possibile beatificazione.