L'intervista
martedì 18 Aprile, 2023
di Donatello Baldo
Pietro Patton, unico candidato dell’Alleanza democratica autonomista che alle scorse elezioni politiche è riuscito a strappare un collegio al centrodestra, accoglie con favore l’investitura di Francesco Valduga alla presidenza della provincia, ma al sindaco di Rovereto non vuole dare alcun consiglio su come riuscire nella stessa sua impresa vincente: «Non c’è una formula, non ho consigli particolari. Forse uno, quello di fare in fretta».
Il candidato c’è, scelto anzitempo rispetto al centrodestra. Fretta su cosa?
«Sulla definizione di un programma. Dieci punti, chiari e semplici, con cui declinare la visione dell’Alleanza per il Trentino. Ma non per la prossima legislatura, non solo: serve uno sguardo lungo, c’è bisogno di idee che arrivino fino al 2050».
Qualche idea da anticipare?
«Prendiamo in mano le statistiche demografiche, quelle che ci parlano di una futura società che invecchia, dove mancherà forza lavoro. Partendo da questo, su queste basi, facciamo le nostre proposte sulla sanità e sull’assistenza, sul lavoro, su agricoltura e turismo e immigrazione. E su tutto la questione economica, e l’autonomia».
E così si vinceranno le elezioni?
«Bisogna muoversi, bisogna correre. Ma se la squadra sarà all’altezza non c’è niente di impossibile e Valduga può essere portato alla presidenza della Provincia. Serve però cambiare marcia, subito, non si deve aspettare giugno per andare sul territorio».
«Andare sul territorio», una frase che ritorna sempre e, spesso, solo in tempo di elezioni.
«Ed è questo il problema. Se una forza politica dice di dover andare sul territorio significa che prima non lo ha fatto, che sul territorio ci deve ritornare. Ma sul territorio ci si deve essere sempre, non solo quando si va a chiedere il voto».
Lei, dopo la sua elezione, è tornato sul territorio?
«Certo, e continuerò a farlo. Attraverso conferenze più strutturate: dopo quella che ha coinvolto la senatrice Liliana Segre seguirà quella che sto preparando con la senatrice Elena Cattaneo sul tema della ricerca. Ma sono sul territorio anche attraverso piccoli incontri, tanti piccoli incontri tra la base, tra la gente. Se la politica non sta tra la gente, non ci si lamenti poi che vanno a votare in pochi».
È preoccupato per la possibile astensione?
«Molto. E qui tutti i partiti hanno grandi responsabilità, anche a sinistra».
La sinistra, su cosa in particolare?
«Non è più riuscita a porre al centro il tema del lavoro. E del potere d’acquisto che è sempre più basso. Il centrosinistra deve tornare a fare un ragionamento chiaro su questo, con proposte altrettanto chiare. Una parte dei risultati positivi delle imprese che hanno accumulato ricchezza devono essere redistribuiti tra chi quella ricchezza ha contribuito a produrla, per esempio. E questo vale anche per la Pubblica amministrazione, i cui stipendi sono ormai fuori mercato. E così i più bravi vanno nel privato, quando ci sarebbe bisogno dei migliori nell’amministrazione pubblica, per dar gambe alla politica».
Tornando a Valduga e all’Alleanza democratica e autonomista, ha avuto anche lei un ruolo nella scelta del candidato presidente?
«Io, quale esponente di tutta la coalizione e non di una singola forza, non ho voluto parteggiare per un nome o l’altro sul tavolo. Ora posso dire che Valduga è la scelta giusta, e farò del mio meglio per sostenerlo».
Valduga sfiderà il centrodestra. Cosa pensa di questi cinque anni di Fugatti alla guida del Trentino?
«Difficile dare giudizi, anche perché c’è da dire che in questi cinque anni Fugatti si è beccato una sua bella dose di sfortuna tra Vaia, Covid e ora orsi. Ma è semplice fare un raffronto su com’era il Trentino cinque anni fa e com’è oggi. Poi valuteranno gli elettori, ed è per questo che serve fare un programma per tempo, per mettere in evidenza le differenze».
E come giudica l’opposizione del centrosinistra in questi cinque anni?
«Francamente non ho visto granché di proposte di alternativa, il problema è anche questo. L’impegno adesso è di trasferire in campagna elettorale quegli spunti che forse potevano essere messi in atto prima».
Ha citato l’orso. Cos’ha da dire sulla gestione del grandi carnivori? C’è qualche responsabilità della politica?
«Sulla vicenda della morte del giovane Andrea Papi non sono intervenuto, proprio perché ho profondo rispetto per il dramma che ha colpito quella famiglia. E non si può usare un fatto così agghiacciante per fare propaganda. Ma il problema è serio e servono soluzioni. Perché la gestione degli orsi è stata quantomeno trascurata. E sì, la colpa è della politica, non della magistratura. Perché è la politica che scrive le leggi e se queste non sono chiare non ci si lamenti se poi vengono interpretate e messe in dubbio dalle sentenze».
Ma lei cosa pensa? È giusto abbattere gli orsi problematici?
«Per me la vita umana viene prima di quella dell’orso, non ci sono dubbi su cosa sia necessario tutelare. Però spetta alla politica determinare il quadro normativo, e ai giudici applicare le norme».
Lei al Senato è nel Gruppo delle Autonomie. Come sono i rapporti con i colleghi altoatesini? Più fecondi di quelli locali tra Trento e Bolzano?
«In Senato la collaborazione è davvero buona, ci si muove spesso assieme per tutelare e difendere le prerogative regionali. Ma è vero che a livello locale si più fatica, anche per la posizione block-frei dell’Svp. Un approccio un po’ contraddittorio, perché a Roma il governo non ha certo bisogno dei loro voti per governare».
Dal suo osservatorio vede anche lei un avvicinamento dell’Svp al centrodestra?
«L’approccio alla politica dell’Svp è di tipo contrattuale, un dare-avere. Anche se fa specie che questa negoziazione avvenga anche con un partito come Fratelli d’Italia, di cui non può essere negata la componente storica verso cui si è sempre contrapposta l’autonomia regionale. Penso alla toponomastica di Tolomei, alle opzioni, al ritorno, al Pacchetto. Per questo è difficile immaginare l’Svp alleato di Fratelli d’Italia, ma se a guidare la politica è l’approccio contrattuale al posto di quello ideale, allora tutto può succedere».