il caso

giovedì 18 Luglio, 2024

Partorisce in casa, la bimba rimane disabile: condannati genitori e ostetriche. Risarcimento di 600mila euro

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Il parto nell'abitazione era stato vivamente sconsigliato dai medici. Ad aggravare la situazione, la posizione podalica della piccola

Per la Procura di Trento il quadro probatorio era quanto mai chiaro: le lesioni colpose gravissime, «insanabili», riportate da una bimba nata nel settembre 2017 con un parto podalico avvenuto in casa a Trento, «sono legate al comportamento dei genitori e delle due ostetriche». Per tutti loro, finiti a processo, nel tardo pomeriggio di ieri è stata pronunciata sentenza di condanna. Il giudice Greta Mancini, ricalcando in gran parte le richieste della pubblica accusa, ha inflitto tre mesi di reclusione a ciascun genitore e a una ostetrica, nove mesi invece all’altra professionista che doveva rispondere anche dell’ipotesi di falso in atto pubblico, per aver alterato la cartella ostetrica, «modificando orari (del parto, della chiamata al 112, della rianimazione…)», secondo la Procura «per comportare una minore gravità del loro comportamento» (inteso delle professioniste appunto ndr).
A tutti e quattro sono stati concessi la sospensione condizionale della pena e i doppi benefici previsti per legge.
Danno da risarcire
Il tribunale ha anche condannato i quattro al pagamento di una provvisionale, e cioè una prima trance di risarcimento, «immediatamente esecutiva», di 600mila euro. Somma, questa, che dovrà essere pagata in solido dai quattro imputati. Era stata Cristina Luzzani, avvocata di parte civile (e cioè della collega Marina March, curatrice della minore che ha quasi sette anni) a sollecitare una provvisionale «di almeno un milione di euro». La quantificazione complessiva del danno biologico, di quello patrimoniale e morale, dovrà comunque essere stabilita dal tribunale civile.
Si dovevano attivare i soccorsi
Nella sua articolata requisitoria, tenuta precedente udienza, la pm Alessandra Liverani aveva contestato come mamma e papà — pur avendo deciso per il parto in casa «nonostante ogni contraria indicazione dei medici» che gli avevano messi a conoscenza dei rischi — avevano avuto comunque «la possibilità di impedire l’evento». Andando in ospedale. «Anche a un punto avanzato del travaglio (durato dieci ore ndr)». Così «non si sarebbero verificati i gravi danni che persisteranno sempre» per la bimba, le parole della magistrata titolare dell’inchiesta. Le due professioniste invece, sempre secondo la pubblica accusa, «dovevano», o meglio «avevano l’obbligo di chiamare i soccorsi anche se non ci fosse stata la volontà (ma questo non è stato provato) dei genitori». La telefonata al 112 c’era stata sì, ma «a distanza di 15 minuti dal parto avvenuto». Allora erano stati informati i soccorritori che la bimba aveva sì battito ma non respirava. Al loro arrivo in casa la neonata, trovata in braccio alla madre, era cianotica e in ipotermia: in arresto respiratorio e cardiaco. «Non erano in atto manovre da parte delle due ostetriche, per quanto la neonata andasse rianimata continuativamente — ancora la pm Liverani — la mancanza di manovre era eclatante stando al medico, e c’è l’incertezza che queste siano state prestate fin da subito».
La linea difensiva
Mamma e papà, secondo la Procura, «erano a conoscenza della posizione podalica della bimba, consapevoli che questo potesse comportare eventi avversi con gravi conseguenze, e infatti i medici del Santa Chiara avevano detto loro di andare in ospedale al travaglio per il parto cesareo». Ma non hanno allertato i soccorsi nemmeno quando sono sorte le complicazioni, durante il travaglio. L’avvocato dei genitori, Andrea de Bertolini, nella sua arringa in aula aveva evidenziato come la mancata attivazione dei soccorsi non sia da addebitare ai suoi clienti, in quanto si trovavano in una condizione di prostrazione psico-fisica tale da non potersi adoperare in tal senso: sia la madre, per il lungo e sofferto travaglio, durato dieci ore, sia il padre che vi ha assistito, emotivamente provato.
Dall’altra i legali delle due ostetriche, gli avvocati Roberto Bertuol e Battisti, avevano sostenuto come non sia invece provato il nesso causale tra le lesioni cerebrali della bimba e la mancanza di ossigeno che le ha provocate. Un danno, questo, che stando alle difese delle due donne potrebbe essere comparso, anche antecedentemente al travaglio e al parto. I difensori dei quattro ora avranno la possibilità di impugnare la sentenza in Appello, ma questo lo valuteranno solo una volta lette le motivazioni della sentenza.