Opere e ambiente

giovedì 30 Gennaio, 2025

Passerella sulle orme dei dinosauri, gli ambientalisti: «Parco dei Lavini, un’oasi deturpata»

di

Un biotopo unico per fauna e flora, l'architetto Marco Malossini: «Valorizziamola»

A furia di guardare il dito, s’è persa di vista la luna. La passerella sulle orme dei dinosauri è infatti un puntino nel contesto del parco dei Lavini, del quale invece non parla nessuno. Gli ambientalisti che si stracciano le vesti sul colatoio, non si sono accorti che esistono altri 35 ettari di “natura” che diventano sempre più piccoli e a mala pena difendono un biotopo unico nel suo genere. Non fosse per la forestale che con due spicci lo cura e per il museo che ci studia flora e fauna di grande interesse, il parco dei Lavini è solo un ostacolo alla continua erosione. In origine fu la zona industriale che penetrò violentemente con gli stabilimenti della Sony e poi della Dana e poi di Arcese e altre aziende; prima ancora fu la discarica a prendersene un pezzo – oggi enorme – di cui si ignorano i tempi della bonifica, visto che formalmente è chiusa. A breve ci sarà una nuova strada che separerà un altro pezzo di bosco, Dolomiti Ambiente sta sbancando proprio al limitare (oggi, prima era bosco) della macchia di pino nero. L’inceneritore si era ipotizzato da quelle parti, l’uscita della Valdastico al limitare opposto, l’uscita del bypass ferroviario proprio lì, con l’ampliamento a sei binari. Il Sic – sito di interesse comunitario – cerca di fare scudo come può al biotopo che ruota attorno alle due pozze (Laghet grant e Laghet picol) che custodiscono una incredibile varietà di esseri viventi. Tredici chilometri di sentiero pianeggiante accompagnano ad osservare animali d’ogni sorta, una torretta in legno aiuta a guardare dall’alto la natura. Nel frattempo una pompa aiuta il laghetto grande a sopravvivere, un sottopasso alla statale porta i caprioli ad abbeverarsi. Una fonte d’acqua esplode in superficie quando piove molto, celebri sono le buche del vento così come la storia della formazione geologica. Insomma, un patrimonio che la città non ha considerato abbastanza se non inanellando uno dopo l’altro decine di piani di valorizzazione sempre più complicati che sono rimasti inevitabilmente nel cassetto. Curioso che la pioggia di “no” sia sempre arrivata sulle proposte di valorizzazione, mai per le vere ferite imposte a questi luoghi. Quando la polveriera fu dismessa, qualcuno azzardo di riportare alla natura quella vasta area: proposta bocciata. Il ripristino, in alcune zone, dei piccoli appezzamenti coltivati che hanno fatto parte della storia dei Lavini è sempre stato osteggiato o, nel migliore dei casi, mai appoggiato; dare un limite invalicabile alla zona industriale visto come fumo negli occhi; ripulire il rio Cameras non è mai stata una priorità; le potenzialità dell’outdoor (dal golf al boulder) derubricate a fenomeni da circo. Si immagina una foresteria con centro didattico e di accoglienza all’ex Aragno, ma nel frattempo quello spazio è diventata una discarica a cielo aperto.
Lo ha detto bene l’architetto Marco Malossini, in questi giorni di polemiche feroci sulla passerella alle orme dei dinosauri, che forse sarebbe bene allargare l’orizzonte, recuperare quelle aree che col tempo sono state maltrattate e svilite e fare un ragionamento di valorizzazione per un parco sul quale non si è mai fatto un discorso di concretezza. Si parla molto di più del bosco della città, quello sopra via dei Colli, quando forse il vero “Central park” di Rovereto è quello dei Lavini, paradossalmente più facile da raggiungere con i mezzi pubblici (c’è una fermata del bus proprio all’ingresso del sentiero principale) di quello in collina. Non è comunque il caso di fare paragoni, certo è che la trascuratezza nella narrativa rischia di fare ritenere il parco come “sacrificabile” un pezzo alla volta da un’urbanistica utilitaristica piuttosto che umanistica.