l'intervista
martedì 31 Gennaio, 2023
di Margherita Montanari
Se da un lato non intende interferire con le scelte dei partiti territoriali e, anzi, apre all’ipotesi di concedere più margini all’autonomia degli organismi locali («non mi preoccupa»), dall’altro, in vista delle elezioni provinciali in Trentino, invoca il ricorso alle primarie per la scelta dei candidati e a un campo di centrosinistra largo. Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia-Romagna in corsa per la segreteria del Partito Democratico (sarà oggi a Trento alle 20,45 al Centro Santa Chiara, ndr), ha ben chiaro in mente l’obiettivo a cui lavorare dopo il 26 febbraio, se verrà eletto alla guida dei dem. Un partito di maggioranza, popolare e democratico. Per arrivarci fissa una condizione. Che suona come un monito agli esponenti del partito. Incluso il Pd trentino, che fa i conti con le crepe aperte dalle divergenze interne. «Dal giorno dopo l’elezione – dice Bonaccini – si mettano da parte le naturali divisioni e si lavori insieme e uniti per il bene delle comunità».
Dalla due giorni di convention programmatica del Pd a Milano, sono emersi alcuni punti della vostra mozione. Quali sono le 3 principali proposte per il Paese?
«Primo: difesa della sanità e della scuola pubblica, oggi più che mai sotto attacco della destra, perché un povero deve avere lo stesso diritto di essere curato e istruito come un ricco. Secondo: la tutela del lavoro, anzi dei lavori, che vanno resi più sicuri e pagati in modo dignitoso. Come? Tagliando le tasse sul lavoro per far crescere le buste paga e rendere più convenienti le assunzioni e, se sarò segretario il primo atto sarà una grande raccolta firme nel Paese per una legge di iniziativa popolare che introduca il salario minimo legale. Terzo: la transizione ecologica come ossessione e priorità. Ambiente e lavoro, però, vanno tenuti insieme, in un’ottica di crescita e sviluppo, limitarsi agli slogan per un mondo più pulito fa incassare qualche applauso nei convegni, ma non risolve nulla».
Quale è la sua idea di Partito Democratico? Se verrà eletto il 26 febbraio, in che modo concilierà le diverse anime che, come questo congresso ha dimostrato, ancora esistono? E come recupererà l’elettorato di sinistra fuggito dal Pd e rifugiatosi nell’astensionismo o a destra?
«Un partito che torni a essere popolare, non populista. Che sia presente nei luoghi dove la gente vive, lavora, si cura e si incontra: per questo pochi giorni fa sono voluto andare a incontrare gli operai ai cancelli di Mirafiori, è stata salutata come una grande novità, ma dovrà diventare normalità. Un Pd con un gruppo dirigente profondamente rinnovato, perché dopo tante sconfitte credo sia naturale che chi l’ha guidato in questi anni possa farsi da parte e dare il proprio contributo anche senza ruolo di rilievo, così come lo fanno decine di migliaia di iscritti e volontari ogni giorno sul territorio. Purtroppo, le correnti in questi hanno perso ogni significato: paralizzano il confronto, non producono idee, premiano la fedeltà e non il merito. Invertiremo questa rotta, dando spazio a tanti amministratori e dirigenti locali che mentre si perdeva a livello nazionale, nei comuni e nei territori hanno saputo vincere e tenere in piedi il nostro partito: meritano più responsabilità e sono certo che attraverso loro sapremo riconquistare la fiducia dei tanti milioni che ci hanno abbandonato. Insieme al coinvolgimento della base: iscritti, elettori, circoli».
Domani (oggi per chi legge, ndr) sarà in Trentino, dove il 26 febbraio si eleggerà anche il segretario locale. La sfida è tra il sindaco di Arco, Alessandro Betta, e il segretario della città di Trento e consigliere comunale Alessandro Dal Ri. Cosa ne pensa e cosa si aspetta dal prossimo segretario?
Sono i territori a dover scegliere i propri rappresentanti, sarei incoerente se pensassi il contrario. Vogliamo che il nuovo Pd sia un partito dove ci sia spazio per tanti e non decidano in pochi, e che lo facciano a Roma. Tanto che se non verrà cambiata la legge elettorale, saranno gli elettori a scegliere i propri candidati attraverso le primarie. E chiedo una cosa: dal giorno dopo l’elezione, si mettano da parte le naturali divisioni e si lavori insieme e uniti per il bene delle comunità. La nostra gente non ne può più di vederci litigare in continuazione e ha ragione».
Nella sua mozione ha citato la necessità del Pd di recuperare il presidio dei territori. Come lo farà? In Trentino, si ragiona da tempo sull’idea di un Partito Democratico del Trentino, in una logica di partito federato al nazionale, più autonomo nelle scelte. La vede come un’idea che rischierebbe di marcare le distanze con Roma o c’è margine per svilupparla?
«A livello nazionale lo faremo aprendo due nuove sedi del Pd, una al Nord e una al Sud, per dare l’idea anche concreta di un radicamento più profondo nel Paese. L’autonomia dei partiti territoriali non mi preoccupa, anzi, mi aspetto contributi importanti come quelli che sto ricevendo in queste settimane nel mio tour in giro per l’Italia, dove ho già visitato 18 regioni (il Trentino-Alto Adige è la diciannovesima) e oltre 80 località. Piuttosto, da cambiare c’è la capacità di ascolto del partito a Roma, perché in questi anni tanti segretari di circolo hanno chiamato e scritto senza mai ricevere risposta. Se sarò segretario, non accadrà più».
A ottobre in Trentino si tengono le elezioni provinciali, una partita strategica per il territorio. Nel 2018, il centrosinistra corse separato rispetto a Patt, sinistra italiana e movimento 5 stelle. La lista del Pd crollò dal 22% al 13,92%. Con il voto amministrativo nel Comune di Trento, due anni dopo, si è trovata l’intesa sul nome di Franco Ianeselli ed è arrivata una vittoria importante per la coalizione. In vista delle provinciali, il rischio è che si ripeta lo schema del 2018. Come evitare il rischio paralisi? Quali ritiene che siano i tempi entro cui arrivare a una decisione? Sulla scelta dei nomi, da segretario, quale linea terrà?
«La risposta è già nella sua domanda. Senza alleanze, vincere diventa quasi impossibile, lo abbiamo visto anche a livello nazionale. Mi auguro si trovi una quadra al più presto, a patto che eventuali accordi siano siglati sui programmi e non per convenienza politica. Non sarebbe rispettoso verso gli elettori e l’esperienza ci insegna che quelle intese durano molto meno. Voglio però ribadire come la partecipazione è atto fondativo del Pd e rappresenta una vera possibilità di rilancio. E anche la possibilità di fare le primarie in vista delle provinciali, così come regolate dallo Statuto, dobbiamo intenderla come una scelta partecipativa per rendere forte un candidato e creare mobilitazione, non certo come una soluzione di riserva. Senza quindi entrare in un confronto che deve avvenire in primo luogo nel territorio, non si può iniziare un percorso rinunciando in partenza a proporre le primarie o un nome come candidato».
In generale, nei confronti dei 5 Stelle e Terzo polo aprirà agli accordi di governo (locale e centrale)?
«A livello locale esistono già tantissimi esempi molto positivi. In Regione Emilia-Romagna governiamo con un’alleanza che va dal Terzo Polo alla sinistra radicale e non abbiamo mai avuto un giorno di crisi in otto anni. Così come con il M5s, invece, siamo al governo in città importanti come Ravenna e Bologna. A livello nazionale, verrà il momento di discutere di intese, perché Conte, Calenda e Renzi sanno bene che senza il Pd non hanno possibilità di vincere e regalerebbero il Paese a questa destra per altri vent’anni. Rinnovo l’appello che ho già lanciato inascoltato da settimane: sui tagli alla sanità pubblica diciamo cose molto simili, perché non provare a fare una battaglia insieme? Purtroppo, li vedo ancora troppo impegnati a fare più opposizione al Pd che al Governo».
Che giustizio dà del Governo Meloni a 100 giorni dal suo insediamento?
«È lontano dai più deboli, premia chi ha di più da un lato, pensiamo alla tassa piatta per i redditi fino a 85mila euro, i più furbi, grazie al solito condono. E sta scoprendo la distanza tra la propaganda e la realtà. Penso al caro-benzina: promettevano di togliere le accise, invece le hanno reintrodotte e ora paghiamo il carburante fra i più cari d’Europa. Sui migranti, dopo anni di slogan, Giorgia Meloni ha capito che senza Europa non si possono gestire gli sbarchi: peccato che ungheresi e svedesi le abbiano risposto “Prima gli ungheresi” e “Prima gli svedesi”. Ma ciò che mi preoccupa di più è l’attacco a sanità e istruzione: con l’inflazione all’11%, i fondi per il Servizio Sanitario Nazionale sono ampiamente insufficienti e il rischio concreto è che verranno meno servizi fondamentali e potrà curarsi solo chi può accedere alla sanità privata. Sulla scuola, la proposta di gabbie salariali per i docenti ci riporta indietro di decenni, quando invece servirebbe un massiccio piano di investimenti. Insomma, questo Governo porta l’Italia nella direzione opposta di dove sta andando il mondo e il prezzo lo pagheranno i più deboli, famiglie, anziani e imprese».
Cosa ne pensa del disegno dell’autonomia nella proposta del ministro Calderoli? Nell’ottica di un disegno nazionale, andrebbe ricalibrata anche l’autonomia trentina?
«La proposta di Calderoli è irricevibile. Non lo dico io, ma la gran parte dei presidenti di Regione, anche di centrodestra. Viene il sospetto, piuttosto concreto, che alla Lega interessi avere un cambiale da spendere alle prossime elezioni regionali in Lombardia e non proporre una riforma seria e condivisa, che rappresenterebbe un’opportunità per tutto il Paese. Noi siamo per la buona autonomia, quella che semplifica e permette agli enti locali di dare risposte rapide a cittadini, famiglie, imprese, associazioni, e siamo pronti al confronto se vengono rispettati alcuni pre-requisiti per noi irrinunciabili: livelli essenziali delle prestazione uguali in tutte le Regioni fissati prima, i fondi per realizzarli, nessuna disparità economica, una legge quadro valida per tutte le Regioni e il coinvolgimento del Parlamento. E’ quanto avevamo condiviso in Conferenza delle Regioni con l’allora ministro Boccia ed è la posizione nazionale di tutto il Pd».