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martedì 21 Marzo, 2023

Pedalavano, i frati di Traudi, lassù alla Cervara

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1983, quando padre Kessler temeva la «curiosità donnesca» della fotografa De Concini, che poi esplorò il convento dei Cappuccini

Il fraticello salta, agile come un capretto, sulla bici già in corsa per scaracollarsi giù per la Cervara. Neppure il saio è un problema, se stai attento che un lembo non entri nei raggi. Ora che la Provincia veneta dei Cappuccini ha deciso di chiudere il convento di Trento, sfogliare il bel fotolibro che Traudi de Concini (nata Wolftraud Schreiber, minoranza tedesca di Boemia) ha dedicato ai frati, 40 anni fa, è un viaggio nostalgico in un mondo perduto. In una minoranza polverizzata.

In quel 1983 era trascorso da un pezzo il Sessantotto che aveva svuotato i seminari eppure il convento, nei bianconeri pieni di umori vivi, pulsa di energia. Frati agricoltori, frati pulitori, frati sarti, frati falegnami, frati cucinieri, frati ciclisti, frati che pregano discutono pensano s’intristiscono si lisciano le barbe nere brune grigie. C’è vita che vive nel convento e nell’orto e nelle vigne e nel campetto da calcio dove due frati incredibilmente giovani giochicchiano con un pallone.

Il superiore provinciale dei Cappuccini padre Angelico Kessler (con suo fratello Bruno già presidente della Provincia, una doppia K solandra tra potere spirituale e temporale) nella prefazione al fotolibro quadrato, marchio Editoria, scrive: «…pur perplessi e quasi vergognosi di aver prestato il loro volto, i frati sperano che le loro immagini riescano a trasmettere a chi vi poserà lo sguardo un ammiccamento di amicizia, un umile messaggio di fraternità».

Parlando del primo incontro con la fotografa, confessa, con burbera ritrosia di maschio: «l’accolsi con qualche diffidenza, pensando che il pretesto fotografico nascondesse un’inconfessata curiosità donnesca». Ma poi: «La mia reticenza fu però vinta, oltre che dalla sua insistenza, anche dalla vaga simpatia reverenziale che suscitava in me quello strano nome (tra barbaro e mitteleuropeo) coniugato con un cognome nobiliare tutto trentino e italiano». E così la «zingaresca» fotografa ebbe il permesso di esplorare la vita dei frati. E così ci resta questo Spoon River di come vivevano i fratellini di san Francesco, 40 anni prima del fatale ’23: dorme, dorme il convento, sulla collina.