L'analisi
giovedì 26 Settembre, 2024
di Davide Orsato
L’annuncio arriva dal presidente della Provincia di Bolzano, Arno Kompatscher, ma è destinato a scuotere le acque del mondo politico sindacale in quel di Trento. La giunta altoatesina sta lavorando a un’integrazione, su base provinciale, delle pensioni minime. La notizia arriva nel giorno in cui è stato presentato il rendiconto sociale regionale 2023 Inps della Regione Trentino Alto Adige. A stretto giro è arrivata anche la conferma del direttore dell’Inps Trentino Alto Adige, Vittorio Feliciani: «È un accordo che stiamo perfezionando in queste settimane: la provincia di Bolzano ha intenzione di dare un contributo».
Un problema che riguarda anche quel Trentino che «continua a stare bene», dove le pensioni sono superiori alla media italiana, ma non per tutti. E i nodi non riguardano solo le minime ma anche la tra i generi, con le lavoratrici donne che continuano a percepire molto meno della loro controparte maschile: circa il 30% in meno. E poi c’è la precarietà che, in una delle Regioni con la maggior percentuale di occupati in Italia, è un fenomeno che ha a che fare, soprattutto, con i contratti a tempo determinato e stagionali. In un anno, il 2023, che pur ha visto un aumento delle assunzioni a tempo indeterminato (32.381 in tutta la regione: 2,3% rispetto all’anno precedente) i contratti precari sono stati oltre il doppio: 69.705 e gli stagionali oltre il triplo, 113.459, crescendo del 2,13% rispetto al 2022. Una ricaduta che si vede anche nelle prestazioni per la disoccupazione, cresciute del 3,19% rispetto all’anno precedente. Un quadro che spiega la differenza – reddituale e pensionistica – tra uomini e donne. Basta notare il fatto che i nuovi contratti a tempo indeterminato pesano solo per il 9,8% tra le donne contro il 15,8% dei colleghi maschi. Tradotti in numeri assoluti questo significa che nel corso del 2023 sono stati assunti 32.381 lavoratori, ma solo 12.015 sono donne e 20.366 sono uomini. Nel mare magnum dei contratti precari (stagionali, indeterminati) il fenomeno si inverte: 110.458 le assunzioni tra le donne, 108.535 tra gli uomini.
Le ricadute sulle pensioni
Si parla, naturalmente del presente, ma la correlazione con i 259.525 pensionati regionali, 136.471 in provincia di Trento, si nota. Un ex lavoratore dipendente, maschio, percepisce una pensione media di 2.015 euro al mese, di oltre cento euro superiore alla media nazionale. La media femminile è meno della metà: 945,80 euro, ed è invece inferiore al dato italiano, che si assesta a 989 euro. La differenza si nota ancora di più rispetto alle pensioni liquidate nel 2023, che per gli uomini vedono un importo medio più basso (1.713 euro) e per le donne più alto (967,9 euro). Grosso divario anche tra i dipendenti pubblici, con quasi mille euro di gap tra gli importi vigenti per le donne (1.829 euro, di 18 euro superiori alla media italiana) e i 2.737 euro per i pensionati uomini (circa duecento in più della media nazionale). Con i lavoratori parasubordinati ed autonomi, la forbice torna ad allargarsi: nel primo caso addirittura tutti i trentini sono sotto la media nazionale (appena 506,60 euro contro i 612,60 a livello italiano per le donne; 1.009,90 euro contro i 1.013,40 per gli uomini). Nel secondo gli importi medi si attestano a 788 euro per le donne e a 1.439 per gli uomini, in linea con il dato nazionale.
«Difficoltà con mutui e affitti»
Per molti contribuenti trentini le pensioni sono un futuro, remoto e incerto. Le stesse dinamiche, però, si ripercuotono sul presente. «Si evidenziano — afferma Giovanni Arpaia, presidente del comitato regionale Inps Trentino – Alto Adige — una difficoltà, da parte dei lavoratori, nell’accedere al mutuo o nel trovare una casa in affitto. E questo a causa dei contratti precari». Tra i settori tenuti sotto attenzione c’è quello parasanitario. «Una maggiore regolarità nei contratti delle Rsa potrebbe sostenere l’occupazione femminile», nota sempre Arpaia che suggerisce, anche «un’alleanza tra i settori del commercio e dell’edilizia per estendere la rete dei contratti stagionali, in modo da dare continuità agli stessi lavoratori, impiegandoli diversamente». Visti dal resto d’Italia, i dati trentini e altoatesini restano comunque buoni. «Persino per quanto riguarda il calo demografico — sottolinea Robertino Ghiselli, presidente del comitato indirizzo e vigilanza dell’Inps — questa regione se la passa molto meglio rispetto al resto d’Italia, e stiamo parlando del grosso problema del futuro. Ma il dato migliore è rappresentato dall’occupazione, superiore di dieci punti percentuali alla media italiana».