La testimonianza
sabato 25 Gennaio, 2025
di Davide Orsato
«Ho iniziato a fare l’infermiere a Roma, la mia città, poi, assieme a mia moglie, medico, mi sono trasferito a Rovereto, dove ho lavorato per sedici anni. Da giugno dell’anno scorso lavoro all’ospedale di Bolzano. Il motivo? Mi pagano di più e mi chiedono meno ore».
(La testimonianza ha nome e cognome: il professionista sanitario, infermiere di lungo corso non lesina, al telefono, i dettagli personali. Ma, negli ambienti pubblici, c’è molto rigore nei confronti dei dipendenti che scelgono di parlare con la stampa: solo per questo motivo non viene esplicitate le generalità).
Questione economica e di vita privata, dunque.
«Principalmente sì, anche perché mia moglie ha fatto la stessa scelta».
Vi siete trasferiti?
«No, facciamo i pendolari da Rovereto: sono abituato al traffico romano, un’ora di macchina non mi spaventa».
Com’è maturata la decisione?
«Volevo vivere e lavorare meglio. Quando sono arrivato all’ospedale Santa Maria del Carmine mi trovavo bene. Del resto avevo lasciato due diversi ospedali romani dove la situazione era via via peggiorata».
E poi?
«E poi è successo che ho visto ripresentarsi, gradualmente, le stesse situazioni da cui me n’ero andato».
Quali sono i principali problemi?
«C’è innanzitutto una questione di carichi lavorativi, tanti turni consecutivi, tanti colleghi e colleghe da sostituire. Si arriva stremati a fine settimana».
A Bolzano, invece?
«Si fanno 38 ore, con i turni da dodici, a cui segue al massimo uno smonto notte. Era la cosa che mi premeva di più, perché mi garantisce di avere maggiore tempo libero».
Sul fronte dello stipendio, invece?
«L’ultima busta paga da infermiere in Trentino è stata di 1.850 euro. Qui possiamo contare su un’indennità infermieristica più generosa, di 250 euro al mese e su un’indennità paziente che si aggira sui 120 euro al mese».
Alla fine a quanto si arriva?
«Attualmente guadagno 2.800 euro al mese che, a luglio, con il nuovo contratto, saliranno a 3.100».
Quando se n’è andato, che clima si respirava all’ospedale di Rovereto?
«C’era parecchia tensione: l’impressione, crescente negli ultimi anni, era quella di sottostare a dei diktat. Non c’è una grande disponibilità al dialogo quando si presentavano le problematiche che dovevamo affrontare. Anche questo ha influito».
Mettiamo che cambino i presupposti. Tornerà in questo caso?
«Non chiudo nessuna porta. Se ci sono le condizioni di lavorare bene, chissà, potrei chiedere la mobilità».