in tribunale

lunedì 24 Febbraio, 2025

Perfido: confermata la condanna per gli 8 imputati a cui erano stati inflitti 76 anni. L’associazione mafiosa regge

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La Corte d'assise d'appello di Trento ha riconosciuto solo un piccolo "sconto" di pena per i reati precedenti al 4 novembre 2016 relativi allo sfruttamento dei lavoratori

Inchiesta «Perfido»: anche al termine del processo di secondo grado l’articolato impianto accusatorio ha retto. A nulla è valso il fermo tentativo delle difese degli otto imputati di scardinare in particolare l’ipotesi più grave, quella di associazione mafiosa, censurando l’esistenza di un sodalizio con carattere di una locale ‘ndrangheta in Trentino, nel settore del porfido. Niente da fare, appunto. Ieri sera dopo le 19, quando si sono riaperte le porte dell’aula, dopo la lettura della sentenza, i legali sono filati via amareggiati, anche risentiti. Sì perché la Corte d’Assise d’appello di Trento, presieduta dal giudice (e presidente) Eugenio Gramola, ha sostanzialmente confermato le condanne di primo grado – era un totale di 76 anni di reclusione per gli otto imputati – per i reati di associazione a delinquere di tipo mafioso, scambio elettorale politico mafioso, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (caporalato). I giudici, che si sono ritirati in camera di consiglio attorno alle 16 per uscire dopo più di tre ore, per dare lettura del dispositivo, hanno comunque fatto qualche «sconto» rispetto alla sentenza di primo grado di luglio 2023: piccole «limature», di pochi mesi, di fatto assoluzioni nei confronti di alcuni imputati, escludendo alcuni reati fine, rispetto ad episodi fino al 4 novembre 2016, visto che allora c’era una legge diversa ed era previsto solo il caporalato (e non lo sfruttamento). Insomma, per un’ulteriore volta, in tribunale a Trento, è stato riconosciuto, attestato, che i tentacoli di questa potente organizzazione criminosa sono arrivati ad infiltrarsi anche nell’economia locale trentina, nel settore del porfido, dell’oro rosso. E alle difese non rimarrà che la strada della Cassazione. Scontato infatti che i legali, lette le motivazioni – che verranno depositate tra 90 giorni – impugneranno la sentenza per affrontare il terzo grado di giudizio, determinati ancora una volta a smontare il castello accusatorio. «Non è andata bene – le parole dell’avvocato Luca Pontalti, fuori dall’aula con il collega Filippo Fedrizzi – La condanna di primo grado rimane integralmente, c’è stata solo una parziale, modesta, riduzione della pena per qualche reato, quanto al periodo in cui non era previsto come tale».
Le condanne di primo grado
Un anno e mezzo fa la Corte d’Assise di Trento aveva inflitto la pena più alta, a 12 anni (la Procura ne aveva sollecitati 14), a Giuseppe Battaglia, ex assessore del Comune di Lona-Lases e imprenditore del porfido, per l’accusa con un ruolo apicale nel sodalizio, ai vertici della presunta organizzazione legata alla cosca Serraino. Per gli inquirenti avrebbe diretto e organizzato le operazioni di natura economico finanziaria delle ditte di porfido, curato per conto dell’organizzazione i rapporti con altri imprenditori o con le amministrazioni comunali di Lona Lases e di Albiano. I giudici lo avevano riconosciuto colpevole anche del reato di caporalato, assolto invece «per non aver commesso il fatto» in merito al voto di scambio di Roberto Dalmonego, come è stato per l’altro imputato Nania. Il fratello, Pietro Battaglia, ex consigliere comunale di Lona Lased e membro di Asuc, era stato invece condannato a 9 anni e 8 mesi di reclusione (anche per il caporalato come la cognata). Quattro mesi in meno (9 anni e 4 mesi) era stato inflitto alla moglie dell’ex assessore, Giovanna Casagranda, riconosciuta colpevole invece di concorso esterno in associazione mafiosa. Reato, questo, attribuito anche al commercialista romano Federico Cipolloni (a lui la condanna più bassa di 6 anni e 8 mesi), accusato di essere stato il promotore e l’organizzatore del sodalizio romano e di avere avuto contatti di lavoro con il presunto capo della locale, Domenico Morello. Il professionista era stato assolto dal favoreggiamento e sollevato dall’aggravante dell’associazione armata. Maria Giuseppe Nania, considerato il «braccio armato» della ‘ndrangheta, capace di atti intimidatori contro imprenditori e lavoratori, che avrebbe sfruttato, era stato condannato a 11 anni e 8 mesi. Dieci anni di carcere per Costantino Demetrio, secondo la Procura componente di rilievo della locale, che forniva istruzioni agli altri affiliati per eludere i controlli delle forze dell’ordine. Era stato riconosciuto colpevole anche del voto di scambio a Mauro Ottobre, assolto invece «per non aver commesso il fatto» per quello al sindaco Bruno Groff. Otto anni invece a Domenico Ambrogio, anche lui assolto per un capo «perché non punibile», 8 anni e 8 mesi infine per Antonino Quattrone.
Le parti civili
Ieri i giudici hanno riconosciuto anche le spese processuali per le parti civili: i sindacati Cgil e Cisl del Trentino, la Provincia di Trento, l’avvocatura dello Stato (per il Ministero dell’interno, della difesa, per il Cdm e per il Comune di Lona Lases), i tre lavoratori cinesi e le associazioni Arci del Trentino e Libera. In totale in primo grado avevano chiesto risarcimenti per oltre 2 milioni di euro e la Corte ne aveva disposti per 390 mila.