L'indagine
martedì 15 Ottobre, 2024
di Benedetta Centin
«I datori di lavoro ci chiedono 4mila euro per la conversione dei permessi di soggiorno, soldi che stiamo pagando: c’è chi ha dato loro una somma quale anticipo, chi ha versato una buona parte dei 4mila euro, chi ancora sta pagando a rate, con il lavoro svolto, facendosi decurtare ogni mese dei soldi dallo stipendio, e così fino al raggiungimento dei 4mila euro, perché solo così avremo la possibilità di rimanere più a lungo in Italia. Altri 100 euro ci vengono trattenuti ogni mese per l’alloggio. Contratti? C’è chi ne è sprovvisto eppure lavora comunque». Questo, in sunto, quello che avrebbero raccontato alcuni dei braccianti stagionali impiegati nella raccolta di piccoli frutti per due aziende agricole di Baselga di Piné collegate (la sede è allo stesso indirizzo). Alcuni di questi braccianti in agosto si erano rivolti alla Flai Cgil del Trentino e all’Ufficio immigrati dello stesso sindacato per denunciare le condizioni di lavoro a cui erano sottoposti. Tanto che allora la Flai Cgil aveva fatto scattare una «segnalazione di sfruttamento in agricoltura» a istituzioni e forze dell’ordine, chiedendo loro di «verificare la presenza di episodi di sfruttamento riconducibili al reato di caporalato», oltre che «di lavoratori senza permesso di soggiorno». Loro, i lavoratori in questione, sono stagionali arrivati in Italia da Marocco, Nigeria, Pakistan e India attraverso il «Decreto flussi». Stagionali – in tutto una quarantina – che sono stati sentiti nelle settimane successive dalla Guardia di Finanza di Trento che ha avviato un’articolata attività ispettiva, al momento di natura amministrativa (cfr Il T del 12 e 13 ottobre ndr).
I militari avrebbero acquisito informazioni in ordine all’effettiva natura del rapporto di lavoro, alle caratteristiche delle prestazioni svolte e alle condizioni lavorative. Così da ricostruire le singole posizioni, il rispetto delle condizioni previste, e verificare appunto la sussistenza di eventuali irregolarità giuslavoristiche, di eventuali violazioni (come della normativa relativa al soggiorno degli stranieri in Italia) o di fenomeni tali da ipotizzare condotte più gravi, con risvolti penali, quali lo sfruttamento del lavoro o caporalato.
«Lavoriamo nei campi, nelle serre, per la raccolta dei piccoli frutti, dalle 11 alle 14 ore al giorno, senza fare le pause che ci spetterebbero, eppure quello che ci viene pagato corrisponde solo a una minima parte delle ore che abbiamo fatto» quanto avrebbero segnalato i braccianti. Testimonianze che combaciano tra loro, nei vari aspetti lamentati. Come quello relativo alla quota «decurtata dallo stipendio per l’affitto», tutti alloggiati in uno stesso stabile a Miola.
La Guardia di Finanza, il 10 settembre scorso, nel corso di un controllo, ne ha trovati una trentina di migranti, suddivisi in tre appartamenti, uno dei quali riservato alle donne. In condizioni descritte come precarie soprattutto un bicamere. Un’abitazione che il sindaco Alessandro Santuari ha dichiarato inagibile con ordinanza dell’11 settembre, che prevedeva lo sgombero e il ripristino delle condizioni igienico sanitarie da parte dei proprietari (gli stessi datori di lavoro). «I locali dell’appartamento erano impregnati di cattivo odore, derivante da cumuli di rifiuti, le cui parti organiche erano in evidente stato di decomposizione, provviste e residui alimentari, stoviglie, cumuli di indumenti e materiale fatiscente di varia natura» riporta l’ordinanza. Un «nocumento per l’ambiente, la salute pubblica e privata, anche per gli abitanti e gli utenti della vicina scuola dell’infanzia». In quella casa, ieri, sulle ringhiere dei terrazzi campeggiavano panni di vario tipo, disposti quasi alla rinfusa. Nel giardinetto grandi sacchi neri d’immondizia ammucchiati tra loro. «Li vediamo partire la mattina presto e rientrare la sera e qualche volta alla vicina Famiglia cooperativa: uomini, donne di mezza età, spesso in condizioni che… Sappiamo che ci sono, cosa fanno, ma non abbiamo contatti» raccontano in paese.