L'intervista
sabato 11 Novembre, 2023
di Donatello Baldo
Rieletto nelle fila del Partito democratico (Pd), Alessio Manica è al suo terzo mandato in Consiglio provinciale. Forse per l’esperienza accumulata è già stato indicato come capogruppo: «I colleghi hanno pensato a me per questo ruolo, credo proprio per questo motivo, che sia stata riconosciuta la necessità di indicare un profilo che conosca le dinamiche d’Aula».
Se si fosse guardato ai voti ricevuti, quel posto sarebbe dovuto andare a Mariachiara Franzoia. O a Paolo Zanella.
«Ma come ho detto, la scelta del capogruppo non può essere fatta solo sul numero di preferenze ricevute. Per quanto riguarda Paolo Zanella, è stato lui stesso a fare un passo indietro, perché nel Pd è entrato da pochissimo e sarebbe una forzatura che l’ex consigliere di Futura diventasse subito capogruppo del Pd. Poi che sia chiaro, sono tra quelli che ha detto fin da subito che Futura avrebbe dovuto ricongiungersi con il Pd».
Dicevamo anche di Mariachiara Franzoia.
«Su Mariachiara c’è un’altra prospettiva da considerare, è evidente che il gruppo del Pd la proporrà alla vicepresidenza del Consiglio provinciale».
Anche Paola Demagri di Casa Autonomia.eu è stata indicata per quello stesso ruolo.
«Premesso che di tutto questo ne parleremo quando si ritroverà la coalizione, posso dire che è legittimo che ciascuno giochi le sue carte. Si comprenda quindi che anche il Pd possa mettere in campo il proprio nome, e lo facciamo come partito più votato del Trentino, maggioranza relativa della coalizione di centrosinistra. Penso sia evidente la sproporzione delle motivazioni, macroscopico. Credo quindi sia naturale che il Pd sia chiamato a fare la prima proposta».
Una sfida tra donne.
«Non credo sarà una sfida, ma è emblematico che siano due donne le candidate. Per quanto ci riguarda, la scelta di Franzoia è anche dovuta alla giusta rappresentanza che devono avere le donne, che finalmente sono la maggioranza degli eletti nel Pd, la metà di tutti gli eletti tra le minoranze, e il 40% dell’intero Consiglio. Il Pd ha investito molto sulla doppia preferenza, ma ha investito soprattutto nell’eleggere in modo paritario tutti gli organismi di partito. E gli effetti si sono visti».
Senta, porrete delle condizioni per l’elezione del prossimo presidente del Consiglio?
«La legge prevede che serva una maggioranza qualificata per eleggere il presidente dell’Aula. Proprio perché serve il concorso di una larga parte degli eletti. Ed è certo che porremo delle condizioni, chiedendo che sia eletta una figura di garanzia, che rispetti l’Assemblea legislativa, che non parteggi per l’esecutivo ma sia super partes nella gestione dell’Aula. Che si risalga la china dell’ultima legislatura che ha umiliato l’Assemblea. E poi una cosa».
Prego.
«Spero tanto che la maggioranza non usi la presidenza del Consiglio per il solo fine utilitaristico di tenere una carica disponibile per chi sarà escluso dalla giunta. Sarebbe davvero disdicevole».
Del suo nuovo gruppo che cosa dice?
«C’è stato un cambio notevole, anche grazie al limite dei mandati. Ci sono 4 nuovi su 7, con l’apertura a figure che non sono affatto organiche al partito. Tra tutti grandi competenze e massima volontà di impegno».
Tra poco si tiene l’assemblea del Pd. Per analizzare il voto, ma anche per mettere sulla graticola il segretario Alessandro Dal Ri che non è riuscito a farsi eleggere?
«Ma no, sarebbe stato messo sulla graticola se avessimo fatto un pessimo risultato, ma non è stato così. Certo, il voto va analizzato, in molte realtà siamo andati male, ma in altrettante siamo andati bene. Per quanto riguarda la sua elezione, è una questione personale, affatto politica. E sgombero subito il campo: non ci sarà nessun congresso, i nostri stessi iscritti ci chiedono di andare avanti, tutti uniti».
Uniti anche nell’Alleanza democratica e autonomista? Insomma, avete perso le elezioni, qualche autocritica? C’è chi dice che sia tutta colpa di Valduga, per come ha impostato la campagna elettorale.
«La distanza dalla coalizione Fugatti è stata del 15%, non è possibile che sia colpa di uno solo. Qui il problema è più profondo, molto più profondo. E sopratutto, le radici di questa debolezza sono lontane. Abbiamo capito che il centrosinistra non è percepito, che su larghe parti di territorio non esistiamo. Poi che ci siano stati errori è evidente, in un’epoca aggressiva a livello comunicativo, forse sarebbe stato meglio essere più aggressivi, o meglio incisivi. Forse lo stile pacato di Valduga non è riuscito a penetrare nell’elettorato».
Che se ne fa ora dell’Alleanza democratica e autonomista?
«È la base su cui costruire l’alternativa di governo alla destra per i prossimi anni. Credo possa essere il soggetto politico sui cui ricostruire il centrosinistra».
E Valduga ne sarà il leader?
«Valduga è il leader politico della coalizione e la deve esercitare questa leadership. E questo mi aspetto nei prossimi mesi da lui, che assieme si lavori per l’alternativa. A iniziare dalla partita delle elezioni amministrative della prossima primavera».
Su tutte, la partita che si giocherà a Rovereto…
«Proprio qui è richiesto l’impegno puntuale di Valduga, perché quella coalizione ruotava intorno a lui. Credo che il primo passaggio da fare è di sedersi a un tavolo e confermare il perimetro della coalizione, allargandolo anche ad altre realtà. Penso a realtà civiche ma anche ai Verdi, che non ha senso che solo a Rovereto siano fuori dall’Alleanza».
Serve però un candidato sindaco. Anche nel Pd c’è chi vorrebbe quella poltrona.
«I nomi vengono dopo, prima ci si sieda tutti a quel tavolo».