l'intervista

giovedì 19 Settembre, 2024

Poplar, parlano gli organizzatori: «Basta attacchi strumentali. L’anno prossimo a Trento solo se ci vogliono»

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Bocchio e Aliyari tirano le somme del festival conclusosi domenica scorsa: «Edizione di successo. Vorremmo fare altri eventi sul territorio»

I volontari di Poplar si muovono veloci, operosi e sorridenti per il parco del Doss Trento, mentre gli operai delle ditte smontano il palco e le attrezzature, loro aiutano come possono, oppure si dedicano con grande attenzione alla pulizia del prato, in modo da restituire alla città il suo Doss così come lo avevano preso in custodia una settimana fa. Se, per gli entusiasti partecipanti del festival, Poplar dura 4 giorni, per gli organizzatori e i volontari dura un po’ di più, almeno 3 giorni prima per preparare l’area e altrettanti dopo per liberarla. Incontriamo Luca Bocchio e Nahid Aliyari, due giovani del gruppo storico dell’associazione Entropia che organizza Poplar, mentre si prendono una pausa durante i lavori di sgombero dell’area, seduti su una panchina arriva a fare visita anche un vecchio amico che la settimana scorsa si è visto poco: il sole. «Il festival è andato davvero bene come spettacolo e partecipazione ma non siamo stati fortunati con il clima – osservano Luca e Nahid – E non parliamo solo degli aspetti meteorologici». Si perché mentre migliaia di ragazze e ragazzi da giovedì a domenica scorsa hanno affollato il Doss Trento per i 4 giorni di Poplar, ballando sul suono delle chitarre dei Viagra Boys, cantando con le parole di Fulminacci o pogando spinti dall’energia delle Lambrini Girlz, tutt’attorno al festival è infuriata una polemica, partita con l’interrogazione di alcuni consiglieri comunali di Fratelli d’Italia, continuata con un controllo a sorpresa della Commissione provinciale di vigilanza giovedì sera durante il concerto e terminata con un comunicato stampa della questura di Trento che raccontava di uno scippo sventato a Poplar, quando invece i fatti si riferivano a un episodio avvenuto a Piedicastello in via Brescia, ben lontano dal Doss e dalla sua musica. Tutti elementi che ora gli organizzatori mettono in fila, mentre tirano le somme e guardano al futuro.
Com’è andata questa edizione di Poplar?
Bocchio: «È andata bene molto bene. La cosa positiva di questa edizione è stata sicuramente che abbiamo fatto un passo avanti nella forma festival. Ci definiamo così fin dall’inizio, ma cominciamo a esserlo davvero da quest’anno. Nel senso che il pubblico viene più per l’esperienza, per la situazione generale che per il singolo artista. Si notava molto durante il passaggio da un palco all’altro, le persone si spostavano per ascoltare gli artisti, invece che restare accampati sotto quello principale, aspettando l’artista di punta».
Aliyari: «Paradossalmente, se con il secondo palco è vero che abbiamo ridotto lo spazio, la sensazione è stata che ce ne fosse di più. Questo perché si è espansa l’area in cui le persone hanno vissuto il festival. Il secondo palco ci ha stimolato a creare un’area relax in una zona dove un anno fa non andava nessuno e che rimaneva buia e non frequentata. È bastato mettere un po’ di luce, posti per sedersi e un po’ di musica ed è diventata un’altra area viva. Quando uno pensa ai problemi di Trento in spazi come le Albere o Piazza Dante, anche questa è la soluzione: riempire gli spazi».
Possiamo fare un bilancio?
«Venerdì e sabato le serate sono andate sold out, abbiamo venduto tutti i 3.500 biglietti. Giovedì e domenica circa 3.200 partecipanti. Gli abbonamenti venduti per i quattro giorni sono stati 800. Quest’anno avevamo anche provato l’esperienza del campeggio ed è andata davvero bene. Il camping di Terlago era tutto esaurito, circa 100 tende e 200 persone. Tante persone sono venute da fuori facendo almeno tre giorni di festival se non quattro. Avevamo le corse dal campeggio già alle 11 del mattino ed erano piene, le persone si riversavano in città. Sono due le cose belle che ci portiamo via guardando i dati. La prima cosa è che Trento si è inserita nella mappa dei festival per gli appassionati di musica in Italia e non c’era mai stata. Ora siamo nella stessa geografia musicale di posti come Bologna, Torino e Milano. Il secondo dato ci porta anche oltre l’Italia: abbiamo avuto un pubblico internazionale tra il 15% e il 20%. Austriaci, tedeschi, svedesi, francesi e finlandesi. È un fatto molto bello, siamo entrati nelle agende di appassionati di musica che pianificano le loro vacanze attorno ai festival».
L’esperienza del secondo palco?
«Fantastica. Avere due palchi è stato speciale, ci ha permesso di non avere silenzi e attese durante i cambi di artista. Ha arricchito l’esperienza anche perché l’alternanza significa che le persone non dovevano scegliere che artista ascoltare. Mai più senza il secondo palco, sembrava una cosa difficile invece alla fine è andata liscia».
Quest’anno sulla selezione degli artisti avete fatto una programmazione coraggiosa.
«È vero, abbiamo fatto un risultato migliore di un anno fa e con un’offerta meno scontata. Alla fine, noi vogliamo regalare un’esperienza unica al pubblico, ma anche portare a Trento la musica che piace a noi. Questo significa sapere che, se porti i Viagra Boys, non troverai 3.500 fan sul territorio e allora devi essere bravo a promuoverti, a raccontare il festival. Quest’anno abbiamo annunciato gli artisti molto presto, già a marzo, poi abbiamo fatto Utopia al Mart a giugno, abbiamo cercato di evolvere il nostro paradigma».
È questa la chiave del successo?
«Farsi riconoscere è sicuramente una parte, l’altra per noi è rispettare il pubblico. Chi viene a Poplar sà che troverà un’offerta musicale e culturale unica, che pagherà un biglietto che costa il giusto, che al festival troverà cibo e bevande vendute a prezzi onesti e che se c’è un problema troverà un organizzazione che accoglie tutti con attenzione e con un sorriso. Non è scontato: per garantire prezzi così bassi dei biglietti noi rinunciamo a qualunque utile e ci assumiamo un rischio di impresa alto. Se avessimo dovuto cancellare una data per maltempo avremmo non solo pagato lo stesso gli artisti, ma anche rimborsato i biglietti. Dall’altra parte questo ci permette di fidelizzare tantissimo il nostro pubblico, che infatti ha risposto alla grande alla programmazione di quest’anno».
Si è parlato tanto del vostro modello basato sul volontariato, ce lo spiegate?
«Qui siamo tutti volontari, in totale siamo più di 280. Ce ne sono 250 che sono arrivati per fare i giorni di montaggio, festival e smontaggio. Poi c’è un gruppo di 30 volontari che si occupa di tutta la programmazione di Poplar: la selezione degli artisti, l’organizzazione, la logistica, i piani sicurezza, l’ufficio stampa, il reclutamento e la cura dei volontari».
Un carico di lavoro simile su base volontaria è un modello sostenibile per il futuro?
«Diciamo che Poplar sono le nostre ferie da altri lavori (ridono, ndr). Non crediamo che il ricambio generazionale sia un problema. Al gruppo storico si uniscono ogni anno nuove persone che hanno voglia di partecipare. Così dividiamo le responsabilità tra più persone, i carichi di lavoro diminuiscono e in più creiamo un gruppo più eterogeneo: in cui lavorano fianco a fianco persone di 30 anni e di 18. Poi dipende da cosa si vuole fare. Poplar ormai è rodato, ci ha stancato di più fare Utopia quest’anno o organizzare altre cose in giro per la città, dove troviamo degli ostacoli».
Il futuro di Poplar come lo vedete?
«Noi qui al Doss Trento ci troviamo bene e ci vorremmo rimanere (si guardano, ndr). Diciamo questo: se rimaniamo a Trento, rimaniamo al Doss Trento. Se la città ci vuole questo è il nostro posto. Ogni edizione è andata meglio, la situazione è sempre più familiare, è una grande casa per noi e per il nostro pubblico e vorremmo mantenerla. Poi ci piacerebbe esplorare nuovi luoghi durante l’anno, come abbiamo fatto con Utopia al Mart».
Avete detto «se restiamo a Trento». Pensate di andare via?
«No, però ci devono volere. Quest’anno ci sono state tante polemiche. Ringraziamo chi ci ha difeso, però ci sono stati dei giorni in cui abbiamo fatto fatica rispetto a quello che succedeva. Qualora non fossimo voluti ci faremo un giro in altre regioni, posti belli ce ne sono. Al momento però sembra che ci vogliano, quindi non abbiamo idea di andarcene. Anche la capienza a noi va bene così, non ci interessa aumentare. Così lo spazio è vivibile. A noi non interessano solo i numeri, ma l’offerta culturale. Poi è chiaro che, se altri fanno offerte senza alcuna visione culturale, con un’offerta omologata a quella di tanti altri e proposta alle masse, allora è normale che quello si valuti sui numeri, ma perché lì ci sono solo quelli».
Che cosa pensate degli attacchi?
«Che sono molto demotivanti. C’è chi ci dà contro per partito preso, ma noi vogliamo solo fare il nostro festival, far stare bene le persone, fare musica e cultura e basta. Siamo un’associazione indipendente che non è legata a nessun partito. Siamo finanziati per 20mila euro dal Comune e per 35mila dalla Provincia. Pensiamo che siamo stati vittima un po’ dell’avvicinarsi delle elezioni in Comune e un po’ di quello che è successo con la Trentino Music Arena. Però non vogliamo essere in contrapposizione o in concorrenza con nessuno. Facciamo un’offerta diversa, possiamo essere complementari».
Vi siete sentiti sotto la lente d’ingrandimento?
«Beh abbiamo avuto un controllo a sorpresa, c’è stata una maggiore presenza di forze dell’ordine e alla fine quella storia dello “scippo a Poplar” che in realtà è accaduto a Piedicastello. Ci ha dato fastidio. È evidente che ci siano dei malumori, ma non era nostra intenzione crearli. Anzi abbiamo invitato tutti: sia alla conferenza stampa sia al festival. L’invito è aperto: venite e dialoghiamo. Vorremmo essere un vanto per la Provincia, come lo siamo per il Comune. Anzi con il loro supporto potremmo crescere ancora, diventare un esempio dell’organizzazione di questo territorio».
Che immagine vi portate via da questo Poplar?
Bocchio: «Il cuore dei nostri volontari. C’è chi dopo 4 giorni di festival ha dormito nel furgone carico, per poi di prima mattina scaricare tutto a Trento. Ci sono persone che danno il massimo per questo festival, perché lo amiamo. Non importa se dormiamo poco o facciamo fatica. Alcuni di noi lavorano e quando staccano vengono qui nel pomeriggio a dare una mano. Siamo diventati una comunità che fa tutto il possibile per questo festival».
Aliyari: «Tutte le volte che per la prima volta ho rivisto uno dei miei amici. Ormai il lavoro ci ha portati lontani da Trento e in direzioni diverse. Poplar è il momento in cui torniamo a stare insieme per fare qualcosa che amiamo».