L'intervista

lunedì 7 Ottobre, 2024

Quattrocchi direttore di Radiologia: «Prestazioni già aumentate, resta il tema casa»

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Il direttore della scuola: «La facoltà di Medicina? Punti sul capitale umano e sulla collaborazione fra dipartimenti»

Rischia di passare, agli occhi dei pazienti come un passaggio banale, quasi automatico della presa in carico di un problema sanitario. E spesso è fonte di una frustrante attesa, quella per «farsi i raggi» o un’ecografia. La radiologia ricopre, in realtà, un ruolo cardine all’interno del servizio sanitario: nella diagnosi, nella terapia, nella prevenzione. Da pochi giorni, l’università di Trento ha una scuola di specializzazione in radiodiagnostica, una delle prime avviate nell’ambito della nuova facoltà di Medicina assieme a neurologia e e anestesia, rianimazione. Sono quelle più «urgenti» anche in termini di medici che devono essere messi a disposizione degli ospedali. La guida il professor Carlo Cosimo Quattrocchi, formatosi al campus bio-medico di Roma, da gennaio 2023 a capo anche della radiologia di Rovereto.
Professor Quattrocchi, la nuova specialità è ai nastri di partenza. Che impatto avrà sulla sanità trentina?
«Importante. Non è un caso se è stata aperta prima che si concludesse il primo ciclo di medicina: attualmente gli studenti sono al quinto anno (su sei, ndr). Questa scelta permetterà di avere subito un vivaio di specialisti prima ancora di avere i laureati trentini».
Quanti iscritti avete?
«Sette su dieci posti. Ma altri arriveranno con lo scorrimento di graduatorie».
Una volta formati lavoreranno anche negli ospedali di valle?
«Sì, e non solo loro. Alcuni medici del reparto si stanno formando con un master in neuroradiologia per sopperire alle mancanze in tutto il Trentino».
C’è il problema di trovare un posto dove vivere per i medici, soprattutto nelle valli… rischia di incidere sulla ricerca di professionisti?
«Il problema c’è anche a Rovereto: proprio due – tre medici che faranno la specialità mi hanno scritto in questi giorni perché non riescono a trovare l’alloggio. Sicuramente una questione da affrontare».
Raggi, ecografie, tac… per molti sono sinonimi di liste d’attesa. Com’è la situazione in Trentino?
«C’è stato dopo il Covid un gran lavoro di recupero, ma ci sono incertezze legate al numero dei medici. Ecco perché si tende a programmare gli esami a gruppi di tre mesi. L’aumento delle prestazioni c’è, ma il paziente che chiama il Cup rischia di sentirsi dire che non ci sono date se lo slot non è ancora stato predisposto».
Qualche malumore c’è stato anche questa settimana a Rovereto, per un guasto a un macchinario che ha costretto a rimandare degli esami…
«Purtroppo c’è stato un malfunzionamento a un macchinario, quello che si occupa degli esami del pronto soccorso e dell’rx torace. È stata sistemata nel giro di poche ore, con una ricaduta limitata sulle attese. I disagi sono stati inevitabili, ma va sottolineato che Rovereto è tra i pochi reparti in Italia che effettua, anche grazie a questa disponibilità, esami ad accesso diretto, senza prenotazione».
C’è una fuga di medici verso il privato?
«Il rischio c’è ma da noi sta andando bene: l’anno scorso se ne sono andati in tre, ma altrettanti ne abbiamo guadagnati, più cinque specializzandi già assunti».
Un tema che riguarda anche la radiologia è quello degli screening: in Trentino la fascia tra i 45 e i 49 anni aspetta ancora. Cosa si può fare?
«Si tratta di un’attività di prevenzione importante, anche qui impatta tanto la disponibilità delle risorse, che sono costanti, mentre cresce la domanda. È stata data priorità al recupero delle visite, credo che sarà più facile ampliare lo screening senologico una volta risolto questo nodo».
La diagnostica radiologica può essere d’aiuto anche per individuare precocemente altre malattie?
«Si può lavorare sul tumore al polmone e per quello alla prostrata: in entrambi i casi si tratta di esami di primo livello da proporre a chi presenta fattori di rischio o – è il caso della prostrata – qualora si trovasse un valore alto di Psa nel sangue».
La facoltà di Medicina trentina è appena nata. Cosa si può fare perché possa contare in un contesto che vede anche la vicinanza di università storiche come Padova e Verona?
«Il fattore umano è decisivo e, da quello che ho visto finora, nella selezione dei docenti, ora 18, si è sempre guardato ai curricula, scegliendo i migliori professionisti a disposizione. Un’altra grande arma che Trento ha a disposizione è la collaborazione fra discipline, con centri importanti di biologia, ingegneria e informatica. È stato anche l’aspetto che mi ha convinto a venire in Trentino».