Il libro

domenica 4 Febbraio, 2024

«Quella volta che il vigile mandò Moser fuori strada»: Dino Zandegù si racconta in cento storie

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l ciclista veneto autore assieme al giornalista Marco Pastonesi: tra gli aneddotti il vino di Moser venduto a Giuseppe Saronni

Gli anni sono 84, la voce bella profonda, la memoria a carica completa. Se c’è un ciclista a suo modo mitico, dapprima quando correva – quarantun vittorie, un’infinità di piazzamenti, velocista capace di vincere Giro delle Fiandre e sei tappe al Giro, negli anni Sessanta – e poi direttore sportivo, questo è lui, Dino Zandegù da Rubano, nel Padovano. Sempre allegro e scanzonato, matto e imprevedibile, esagerato e trasgressivo, protagonista di una rivalità con Marino Basso – negli arrivi in volata se le davano di santa ragione – che ha fatto epoca. Finito pure, per tre anni, tra gli ospiti fissi di «Quelli che il calcio».

Ebbene, il nostro è ora protagonista di un libro che, senza tentennamenti, è il libro sportivo più vero e divertente dell’anno appena passato (è uscito in dicembre) e potrebbe esserlo anche per l’anno in corso. No, non l’ha scritto Dino Zandegù. Lui ha dettato. In bella copia, in virtù di una classe non discutibile, l’ha messo Marco Pastonesi, giornalista sportivo di rango.

«Siamo partiti un po’ così – racconta Zandegù – poi ci abbiamo preso gusto e il risultato è di quelli che ti soddisfano». Di certo, si sono divertiti, anche. Allora: Marco Pastonesi firma «Se cadono tutti vinco io», sottotitolo «Dino Zandegù cento storie vere al 90%». L’editore è Ediciclo, 192 le pagine, 16 euro il prezzo. Potete leggerlo come vi pare. È diviso in 100 capitoli, altrettante storie. Per renderle godibili fino in fondo, Pastonesi scrive in prima persona. La voce, ovviamente è quella di Zandegù. Ad aiutarlo nel ripercorrere le tappe di una carriera sportiva di prim’ordine anche un prete: don Mansueto Callioni, caro amico di Felice Gimondi («Il mio ciclista preferito», ricorda commosso) gli ha donato le fotocopie di un volume con tutte le sue vittorie e i piazzamenti. «Lì mi sono reso conto che chi mi rimproverava di non essere un corridore continuo, ci capiva davvero poco».

Eppure di ciclismo ci ha sempre capito tanto, e non solo di quello. «Amo anche il buon vino e da anni vendo con piacere quello di Francesco Moser, che è buonissimo. Il Teroldego il mio preferito». Già. C’è anche il Trentino tra le cento storie vere al 90% del canterino Zandegù. Certo. Canta che è un piacere, scrive ballate. Tiene molto a questa, suggerisce: «O miei signori che state ad ascoltare / una storiella vi voglio raccontare / di un corridore tanto popolar / su su correte a indovinar. /… È un corridore che è tutto pepe e cuore, / indovina un po’ tu, / è un fatto strano, è proprio un italiano, è Dino Zandegù».

Scusate, eravamo in Trentino. Leggiamo che tra i suoi capolavori, c’è quello di «riuscire a vendere i vini di Moser a Saronni. Grazie al tempo che guarisce, il vino che rallegra e anche a me che riappacificavo, Moser vendeva e Saronni acquistava. Finché c’è stato un ritorno di fiamma, tra Francesco e Saronni si è improvvisamente riaccesa un’antica polemica e il mio commercio si è drasticamente ridotto. Ho cercato di far capire, a tutti e due, che certe situazioni erano ormai superate, che non valeva più la pena di punzecchiarsi, che era tempo di ritrovare l’armonia perduta. Niente da fare. Ognuno per la propria strada. E pensare che l’unico a rimetterci sono stato io. Addio sette scatoloni, uno scatolone per ciascun tipo di vino Moser, compreso il Muller Thurgau, da non confondersi con Dietrich Thurau, il corridore… Continuo a sperare in un condono, implorare un perdono, pregare in un ravvedimento, confidare in una grazia. E che il flusso di vino Moser alla cantina di Saronni possa proseguire in santa pace».

Certo, le immagini li vedono sorridenti, insieme, Zandegù e Moser. Ma dai suoi cento godibilissimi racconti spunta anche una storiella assai particolare. Giro d’Italia 1981, cronosquadre, da Lignano Sabbiadoro a Bibione, 151 km. Zandegù è direttore sportivo della Hoonved-Bottecchia. Che vince. Però… ascoltiamolo, Zandegù. Ride ancora, a dirla tutta. «È vero che giocavamo in casa, è vero che avevamo preparato il percorso, ma è anche vero, ecco la verità al cento per cento, che, quasi all’arrivo, un vigile abbia fatto un gesto equivocato dalla formazione di Francesco Moser, che si era disunita e confusa, perdendo secondi decisivi. Moser non manca occasione per ricordarmelo e rinfacciarmelo. “Quel mona che mi ha fatto sbagliare strada”, dice. Questo sì. E vi siete messi d’accordo, sostiene. Questo no, questo non è vero, non al cento per cento. La sera, in albergo, festeggiamo alla grande. Spumante? Macché. Quella volta pretesi champagne. Per trovarlo i camerieri furono costretti ad andare fino a Portogruaro».

Ancora, a proposito di Trentino. «Uno dei miei pupilli è stato Mariano Piccoli. Mi ha dato grandi soddisfazioni. Veloce e scalatore, moderno. Ma non sempre ubbidiente. Come nella Milano Sanremo del 1996. Riunione, assegnazione dei compiti, gli dissei di tenere d’occhio Gabriele Colombo. Non Musseuw o Bartoli o Fondriest, non Armstrong o Cipollini o Baldato, non Bugno o Van Petegem o Sorensen. Ma Gabriele Colombo. Che pochi, pochissimi, nessuno conosceva. Ma avevo avuto un’intuizione, un’illuminazione. E si rivelò una profezia. Perché a vincere fu proprio lui. Finita la corsa, guardai Piccoli negli occhi e gli dissi: “Allora, quel Colombo?” “Non bastava tenerlo d’occhio, mi rispose Piccoli, ci volevano anche le gambe”».

L’uomo è così. Quando Gianni Mura si stupì che suo figlio si chiamasse Manolo, il battitore libero Dino Zandegù rispose: «Manolo è il perfetto connubio tra manubrio e barolo, gli spiegai. Mura approvò, soddisfattissimo».

Tra i cento episodi anche una miss baciata troppo focosamente al Giro di Sardegna e, soprattutto, l’acerrima rivalità con Marino Basso. Ad un punto tale che quando Pastonesi e Zandegù hanno iniziato ad ipotizzare dei titoli per il libro, hanno preso in considerazione anche «Abbasso Basso» e «Contrabbasso». Bocciati perché … troppo musicali. Tutti da scoprire gli altri titoli scartati. «La scelta – conclude il grande ciclista e ottimo direttore sportivo, mattacchione sempre – è caduta su “Se cadono tutti vinco io”, nonostante abbia vinto anche quando non cadeva nessuno. Il sottotitolo, è la verità al cento per cento, perché qualcosa sfuma con il passare del tempo». Finale finale: «E con questo sono più i libri che ho scritto (per la precisione: dettato) di quelli che ho letto. E anche questa statistica è molto veritiera». Parola di Dino Zandegù: «Quando comincio / non mi fermo più».
Come dite? Era un altro ciclismo d’altri tempi? In ogni caso, godiamocelo.