MIGRAZIONI
domenica 27 Novembre, 2022
di Leonardo Omezzolli
Donne alla ricerca di un futuro migliore, decise a contribuire in prima persona alla famiglia e pronte a lasciare la propria terra natia. È un ritratto moderno, che mette in luce l’intraprendenza e la lotta, pur forse inconsapevole, per la parità di genere. Sono le ragazze di fine Ottocento, in un territorio, quello trentino, agricolo, ai margini dell’Impero asburgico, italiane di lingua in terra straniera che fanno fronte, in modo autonomo, alle conseguenze drammatiche lasciate dalle grandi alluvioni di fine secolo.
Questa storia, sottaciuta, lasciata a margine di altre più fortunate narrazioni, riemerge con forza grazie a nuovi modelli di ricerca, all’elaborazione di grandi dati trasformati in semplici ed efficaci rappresentazioni grafiche.
È terreno fertile per gli storici moderni che attraverso le più recenti strategie d’indagine riescono a guardare in profondità, nel solco dell’ingente mole di documenti antichi e, spesso, abbandonati in polverosi archivi. Ecco che a oltre 130 anni di distanza, la determinazione delle giovani trentine può essere letta e studiata grazie al progetto Mapping Mobilities della Fondazione Bruno Kessler (Fbk), Istituto Storico Italo Germanico, che ha elaborato con il supporto dei data analyst il flusso migratorio trentino tra Otto e Novecento, in particolare tra il 1882 e il 1889. Sebbene la maggioranza delle emigrazioni siano relative al genere maschile (11.496 uomini e 908 donne su un campione di 12.404 passaporti analizzati), un dato spicca su molti altri.
Significativa è infatti la caratura dell’emigrazione femminile che mostra una prima e numericamente rilevante forma di emancipazione. «Lo abbiamo potuto notare – ha spiegato Maurizio Cau, project manager – incrociando i dati sui flussi e notando come le donne emigrate non lo facessero per questioni unicamente legate al ricongiungimento con familiare, ma anche per ragioni lavorative, autonome.
Questo elemento è caratterizzante. Si tratta di donne che non per forza o non solamente raggiungevano i mariti, emigrati a loro volta, a caccia di fortuna, in un periodo antecedente a loro. Erano invece donne intraprendenti, nubili, che partivano alla ricerca di lavoro e di fortuna. Spesso da sole. Queste fonti – continua Cau – ci dicono che quello che stiamo osservando è il primo processo di emancipazione della donna in Trentino del quale abbiamo un riscontro oggettivo». Insieme a Cau la ricercatrice Anna Grillini, Beatrice Marsili (data curation) e Maurizio Napolitano (data analyst and visualization). In questo periodo, inoltre, trainata dalle fughe oltreoceano degli uomini, ha inizio la mobilità extra continentale femminile.
«Lo scopo di progetti come questo – ha precisato Cau – è quello di mettere a disposizione fonti e dati utili a chi poi dovrà fare delle ricerche. Realizziamo in buona sostanza veri e propri strumenti di lavoro per gli storici. Sono analisi che prima non si potevano fare». Senza questi strumenti i documenti e le fonti devono essere interrogati con una specifica domanda da parte del ricercatore che mette energie e risorse per ottenere un solo risultato, quello appunto della propria indagine. Diversamente, la digitalizzazione dei documenti e l’importante lavoro svolto dai data analyst e visualisation, trasformano le fonti in veri e propri documenti parlanti.
«Questi documenti – spiega il project manager – possono parlare e sono utili sia al ricercatore sia al privato cittadino». Nel caso specifico, Mapping Mobilities permette di trovare un proprio avo e scoprire qualcosa di più della sua storia, oltre a rendere visivamente più chiaro un ventennio di migrazioni trentine all’interno dell’Impero asburgico.
La ricerca nasce dall’analisi di migliaia di richieste di passaporto conservate nel fondo Commissariato di polizia dell’Archivio di Stato di Trento. A partire dal 1878 le richieste di passaporti (non sempre obbligatori) aumentano considerevolmente, soprattutto nei periodi successivi alle alluvioni. Due i picchi di partenze, il primo nel 1882 e il secondo nel 1889, anni, per l’appunto, corrispondenti a due catastrofiche alluvioni. Questo secondo picco darà il via a un flusso migratorio che perdurerà fino alla metà degli anni ’90 dell’Ottocento.
L’ampia possibilità di analisi data dal sistema Mapping Mobilities ha permesso un confronto più agevole delle persone che emigravano, del loro genere, del motivo o del lavoro che sarebbero andati a fare nei luoghi di emigrazione. Ne è quindi emerso l’aumento numerico delle donne emigrate, e, tra queste, il numero di coloro in partenza, non per un ricongiungimento familiare, ma per cercare lavoro, chi «giornaliero», ossia il moderno precariato, chi con mansioni specifiche, soprattutto domestiche o sarte.
«La trascrizione delle richieste di passaporto ha portato alla luce molte questioni – ha spiegato Maurizio Napolitano, data analyst del progetto –. Troviamo curiosità interessanti come i toponimi diversi, ad esempio Mezzocorona era chiamato Mezzotedesco o ancora, vista la particolarità del Trentino, inserito nell’Impero, ma di lingua italiana, di come vi fosse un concetto di estero anche nei confronti dell’Austria. Molti scrivono che vanno in Austria Ungheria o negli Esteri d’Europa, definizioni difficili da comprendere oggi senza il giusto supporto storico. Noi abbiamo preso tutti questi dati – ha spiegato Napolitano – e li abbiamo sviluppati creando rappresentazioni grafiche che dessero immediatezza nella spiegazione e facilitando il lavoro di chi vorrà fare ricerche, dagli storici ai cittadini. Abbiamo – ha sottolineato – trasformato i dati in conoscenza. Informazioni che sarebbero rimaste su carta e forse mai analizzate o peggio perdute».
È così che da semplici fogli, compilati a mano tra i turbamenti d’animo di chi si apprestava a lasciare la propria casa, oggi, grazie ai moderni strumenti di analisi si è riusciti a portare alla luce un pezzo di storia trentina, un frammento di storia di lotta, quella dell’emancipazione femminile, fulgido barlume di un sentiero che ancora oggi non è stato del tutto percorso.
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