il diario
lunedì 25 Marzo, 2024
di Alessandra Campedelli
Avrei voluto fare un video oggi…per raccontarvi una situazione che mi ha messa in forte difficoltà. Che mi ha destabilizzata. Che mi ha messa di fronte ad una responsabilità…che, prima d’ora, da allenatrice non mi sono mai trovata ad avere.
Da oggi ho capito che forse non potrò mai essere un’allenatrice «vera».
Avrei voluto fare un video per rappresentarvi meglio questa situazione, ma non ci sono riuscita: non ero preparata.
Ho preso da parte una ragazza, Rabia, 19 anni. L’unica tra le mie giocatrici che indossa, «per scelta» anche in palestra, l’hijab e anche la maschera. Lei è tra le più smart, parla inglese, è sempre carina, disponibile, volenterosa. Due occhi intelligenti, che sorridono che captano ogni cosa. Ci capiamo con lo sguardo noi due.
Lei è quella che già nei primi giorni, con estrema semplicità, è venuta a chiedermi di concederle 5 minuti per pregare qualora avessi scelto alcuni particolari orari per gli allenamenti.
La pallavolo? Beh…da allenatrice posso dire che forse per la pallavolo di alto livello lei non sia troppo portata.
Oggi decido di parlarle perché deve sapere che, in vista degli impegni ufficiali, lei dovrà togliersi la maschera in alcune occasioni come ad esempio, per regolamento, nel momento del riconoscimento dell’arbitro.
Glielo spiego, con garbo, facendole capire che io rispetto la sua scelta e le sue convinzioni religiose, ma che probabilmente il suo essere poco flessibile in tal senso non è compatibile con il regolamento.
Le faccio la fatidica domanda: «Saresti disponibile a togliere la maschera nel caso in cui dovessi sceglierti tra le 14 della squadra?».
Lei mi guarda dritta negli occhi, non abbassa lo sguardo. Non le trema la voce. Mi dice che ci ha provato. Ha provato a parlare con la sua famiglia di questa possibilità: togliersi la maschera mentre si allena e mentre gioca. Indossare la maschera durante la quotidianità, come previsto dal suo Credo.
«Cosa credi, coach, che per me sia facile? Quando mi alleno spesso, nei tuoi allenamenti mi sembra di svenire. Mi manca il respiro…per questo, ogni tanto, nelle brevi pause, spesso corro fuori…all’aria»
La guardo facendole capire che sì, me ne ero resa conto e che per aiutarla, spesso, non ho infierito.
«I miei genitori, i miei fratelli, i miei parenti, mi hanno messa di fronte a due possibilità. Che sono molte, credimi…e li ringrazio per questo. E ringrazio il mio Dio per questo».
Io inizio a trattenere il fiato… non sono più così pronta…così sicura di avere la verità in tasca. Non so cosa aspettarmi. Non voglio che lei mi percepisca come una persona che non rispetta la sua persona e la sua religione.
«Coach…se tolgo la maschera devo tornare a casa. Se la tengo posso stare qui.
Sai…sono l’unica della mia famiglia, tra le donne, che grazie alla pallavolo si è potuta allontanare da casa, ha potuto studiare…e ha potuto evitare di sposarsi. Se torno a casa…mi devo sposare. Non posso, coach, togliermi la maschera. Non posso…capisci?»
Mi guarda diritta negli occhi e io devo fare violenza su me stessa per trattenere le lacrime. Un macigno per me: come posso mandarla a casa? Una responsabilità enorme…che va chiaramente oltre alle mie scelte tecniche.
«Tutte le mie cugine e le mie sorelle sono già sposate, io sono riuscita…ad avere un posto diverso. Nella pallavolo. Se tolgo la maschera lo perdo. Mi vengono a prendere».
Io, non so da dove mi sia uscito, ma le chiedo: «Rabia…ma chi verrebbe a sapere che la hai tolta? Qui non ci sono fotografi…o tv…».
«Coach – con una fierezza e una sicurezza mai vista in una ragazza di quella età, sempre reggendo il mio sguardo – io l’ho promesso alla mia famiglia. L’ho promesso al Dio che prego più volte al giorno. L’ho promesso a me stessa. Non puoi chiedermi di mentire. Non mi sento di farlo».
«Va bene Rabia, lasciami il tempo di pensare come poterti aiutare a risolvere questo problema».
«Coach, questo non è un problema per me. Le regole sono un problema. E chi non capisce che io ho la possibilità di scegliere tra ben due possibilità. C’è chi non può scegliere. Io sono fortunata. E sono stata fortunata ad aver incontrato la pallavolo».
E niente: lezione di vita ricevuta!
«A dopo Rabia, stai tranquilla che qualcosa mi verrà in mente!».
Ma ora i pensieri scorrono su più fronti. Non ero preparata. Lo devo ammettere.
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